Nel costruirsi una nuova opportunità professionale

Mi trovavo a pranzo con un amico e, data la comunanza di interessi e parte del bagaglio di studi e di lavoro, è uscito anche qualche discorso sul nostro settore. Vedere e ascoltare una persona così appassionata sui propri campi di ricerca e applicazione, nonostante diversi anni di professione, è uno spettacolo che è sempre un piacere rivedere. Quel tipo di entusiasmo tipico di persone che hanno trovato la loro ragion d’essere anche nella loro professione. Non è detto, però, che tutti riescano subito a trovare il modo di impiegare in maniera proficua il proprio tempo e le proprie energie, in attività che riempie di gioia. E quand’anche uno approda ad una professione (o se la crea), come per molte storie, anche romantiche, non è detto che l’ardente passione iniziale continui a bruciare forte per sempre. In questi casi, è possibile valutare se sia il caso di continuare a svolgere qualcosa che non dà più stimoli, con l’unica motivazione (comunque importante) di portare il pane sulla tavola oppure se sia invece il caso di cercare/crearsi un’alternativa. Quindi stamattina, passeggiando nel bosco, ho reputato opportuna l’idea di completare quanto già scritto in Immaginare un nuovo lavoro, ma… “in pratica”?

Non mollare subito

Il primo consiglio, nel caso in cui l’attuale posizione lavorativa (o, in generale, l’attività che si sta svolgendo) non sia più fonte di soddisfazione, è cercare di capire il motivo: a volte può essere che ci si aspettava qualcosa di diverso, altre volte può essere cambiato il contesto lavorativo (ad esempio: un trasferimento, un demansionamento) o semplicemente cambiano le nostre priorità. Se magari a 20 anni ci andava bene passare il fine settimana a lavorare su dei progetti, a 30 potremmo desiderare invece più tempo per noi stessi. A questo punto cosa si fa? Si molla tutto così de botto senza senso? Se proprio non è possibile cambiare le condizioni o trovare/accettare un compromesso, l’alternativa è iniziare a preparare la fuga. Il termine che ho utilizzato non è casuale: parlando con amici (e non ho alcun problema ad ammetterlo: vissuto io stesso una situazione in cui ero arrivato al limite), ho notato che la sensazione più diffusa è quella di sentirsi in trappola. Le motivazioni che irrobustiscono le sbarre di questa gabbia invisibile (ma non per questo meno “reale”/”sentita”) possono essere diverse: a volte sono oggettivamente delle situazioni che appesantiscono un po’ la sensazione, percepite come palle al piede: presenza di familiari da accudire, età “avanzata” (soggettivamente, alcuni si reputano “vecchi per iniziare una nuova vita” a 35 anni), paura di cambiamento in relazione ai propri cari (come la difficoltà, per marito/moglie, di trovare un nuovo lavoro se ci trasferiamo o figli che si ha paura di “traumatizzare” se si interrompono le loro amicizie in un certo posto). Spesso ci si aggrappa a queste motivazioni per non affrontare la paura più grande di un cambiamento. Quando però siamo in una vasca in una stanza fredda e l’acqua si è raffreddata, occorre trovare il coraggio di alzarsi, sopportare un po’ di freddo per un brevissimo periodo per passare poi le ore successive in un posto caldo e rilassante. L’alternativa è restare in un’acqua sempre più fredda e, dopo il discomfort, ci si può anche iniziare ad ammalare. E anche questo termine non l’ho scelto a caso: il continuo stress crea danni psicofisici che spesso crescono sottotraccia, diventando visibili quando ormai è troppo tardi. In molti casi, la salute è come un foglio di carta: una volta accartocciato, difficilmente torna esattamente come nuovo. Alcune patologie e disturbi lasciano tracce indelebili nel corpo e nella mente. Motivo per cui sono un grande sostenitore dell’importanza dello stile di vita: non mi riferisco all’aspetto esteriore del vestirsi in un certo modo o guidare una certa automobile, nè all’ostentare lusso ed eleganza, ma al come si conduce la propria vita, come si decide di passare il proprio tempo. Di questo ne ho scritto un po’ nelLa scienza dello stare bene, ma sicuramente ne scriverò in maniera specifica. Ora però torniamo al punto: l’acqua si raffredda e decidiamo di alzarci per andare nella stanza calda e comoda. Chi, quando e come prepara la stanza? Sul chi, avrai indovinato: tu. Altre persone possono darci una mano, ma tutto deve partire da noi. Sul come, ne leggerai tra pochissimo, come per il quando.

Quando ti inizi a convincere che è il caso di cercare altro e l’alternativa non è ancora pronta per diversi motivi (ad esempio: devi ultimare un corso per una certificazione necessaria, stai aspettando che si apra una posizione lavorativa in un’azienda con la quale sei già in contatto, devi terminare degli obblighi nei confronti del tuo attuale datore di lavoro e così via), osserva in maniera razionale il tuo attuale impiego. Classifica le tue diverse attività in base a quanto sono importanti (soprattutto per il tuo punto di vista, non quello aziendale): massimizza l’impegno in tipologie di attività in comune con la professione che vuoi svolgere subito dopo e minimizza quelle che non serviranno più e che non ti danno valore (parere personale: questo ragionamento dovresti farlo sempre, per ottimizzare come insegna Pareto, ma in questo caso hai un motivo in più; nel caso peggiore, verrai valutato male, ma tanto te ne stai andando – ricorda però di mantenere dei limiti standard: se sei un medico, non vorrai che il paziente muoia nè che la sua cartella contenga informazioni sbagliate, ma semplicemente parteciperai meno alle attività collaterali che valuti un pro-forma o una perdita di tempo senza alcun reale contenuto/valore).

“Crea tempo”

Implementando, secondo possibilità e contesto, il consiglio che hai appena letto, dovresti esserti ricavato anche un po’ di tempo. Ulteriore tempo lo puoi “creare” concentrando il lavoro “serio” in alcune ore (ovviamente non pretendere di arrivare allle “4h/settimana” del noto libro di Tim Ferriss, soprattutto se hai difficoltà a delegare alcune attività). In linea di massima, a meno che il tuo lavoro sia davvero quello stereotipico della catena di montaggio (es: magazziniere in una nota multinazionale oppure telefonista pagato in base al numero di chiamate effettuate), ti trovi in una delle due grandi macro-categorie: lavoro per “servizio” (es.: vigile del fuoco, medico di pronto soccorso) o lavoro per “prodotto” (es.: sviluppatore software, artigiano). Nel primo caso, oltre al riposo vero e proprio, puoi ricavarti tempo limitando attività sociali coi colleghi o evitando inutili passatempo (o, come preferisco chiamarli, sprecatempo) tra un’emergenza e l’altra.

Dove hai molta più libertà, comunque, è nella “vita” (come viene comunemente chiamata dalla gente la pausa tra un turno a lavoro e il successivo, secondo il paradigma comunemente accettato del “work/life balance”): spesso sprechiamo il tempo in attività che servono solo a drenare energie, che sia nel mondo “fisico” (uscire con conoscenti o da soli esclusivamente perché è venerdì sera e quindi si fa così, perché “ho lavorato tutta la settimana e quindi la birra al pub me la merito”) o “virtuale” (es.: scrollando paginate infinite di social e siti spazzatura o aggiornandosi su notizie che tanto tra 2gg nemmeno ricorderemo più). In entrambi i casi (il secondo anche più subdolo, perché lo schermo ci connette al mondo “virtuale”, ma il tempo che buttiamo è reale), oltre a gettare via frammenti della nostra vita in attività senza valore, ci stiamo anche scaricando: oltre a non aver riposato (e no, cazzeggiando non si “riposa”, il cervello si stanca), dopo avremo anche sensi di colpa per non aver combinato nulla di costruttivo. Per le attività che invece ci fanno bene (come passare del tempo con persone a cui vogliamo davvero bene o passeggiare nel verde), il mio consiglio è di continuare a svolgere, ovviamente, ma limitarle.
La fisica insegna che, per spostarsi da un punto ad un altro, occorre del lavoro, lavoro che ci richiede dell’impegno, in termini di tempo ed impegno/sforzo. Ricordiamoci però che i nostri sacrifici son svolti per un motivo: quello di stare meglio. Ora che sappiamo come crearci tempo, vediamo come utilizzarlo.

Non essere ossessionato dal tempo, ma allo stesso tempo cerca di dargli valore.
Immagine creata da me tramite Stable Diffusion

Trova il tuo tempo

Non stai vivendo un déjà-vu ed io non ho la memoria del pesce rosso nella boccia, non sto ripetendo di nuovo lo stesso concetto, questo è diverso dal precedente. Nei ritagli di tempo che abbiamo “trovato”, occorre capire il tempo nel tempo, il tempo “utile” (al nostro obiettivo, quindi a sviluppare/perfezionare conoscenze e competenze, oltre alle attività collaterali) nel tempo che abbiamo ora a disposizione per tal fine. Come si fa?

Trova il tuo ritmo: sperimenta quale frequenza, in quale periodo della giornata e quali intervalli di tempo funzioanno meglio per te. Il tempo non è tutto uguale, così come non sono uguali le attività. Non chiameresti sempre “scrivere”, allo stesso modo, una lista della spesa o la divina commedia, quindi perché siamo invece abituati a vedere “studio” come un’unica generica ed informe attività? Ci sono tante variabili, come ad esempio profondità di un argomento oppure estensione orizzontale: capire un mondo concentrato in 4 equazioni di Maxwell non è la stessa cosa che apprendere concetti distribuiti in 4 libri umanistici. Inoltre, c’è da distinguere teoria, ripasso ed applicazione pratica. Ogni tipo di argomento può richiedere modalità e tempi diversi; generalmente, la sera è meglio rileggere o svolgere esercizi oppure ordinare appunti anziché imparare roba nuova e complessa.

Unendo questo concetto col precedente paragrafo: sei turnista ed hai a disposizione piccoli ritagli che vuoi ottimizzare? Tra un caso improvviso ed un altro, meglio ripassare o affrontare piccoli paragrafi. Sei pendolare con un’ora ininterrotta in un treno comodo? Condizione ideale: punta la sveglia è sparati la tua ora di sano deep work, in uno stato di flow fino a quando la sveglia ti avvisa di esser giunto a destinazione! Guidi su una strada più o meno tranquilla oppure cammini o vai in bici? Ripasso audio o podcast. Infine, portati sempre dietro un libro per tutte le volte che attendi i mezzi, che sei in fila per uffici pubblici, che vai ad un appuntamento dove già sai che il tuo amico farà ritardo. Sperimenta quali combinazioni funzionano meglio per te.

Vero è che son meglio tante piccole porzioni di studio costante nel tempo rispetto ad un’abbuffata (vale per cibo, palestra e ovviamente anche per lo studio), ma cerca di adattarti al tempo che hai, a volte potresti avere un fine settimana libero e solo un’oretta nei restanti giorni. Cerca comunque di mettere insieme degli intervalli di tempo abbastanza lunghi, perché “studiare 5 minuti” è come sollevare un bilancere leggero una sola volta anziché raggiungere il minimo sforzo e le minime ripetizioni necessarie per un miglioramento. Sperimenta con i tuoi tempi.

E sperimenta anche nelle diverse condizioni, a lavoro o fuori: si vedono ogni tanto i “nomadi digitali” o i “travel blogger” che scivono con un portatile al mare, per esempio, ma io ho provato e il laptop in spiaggia o in generale al sole non è il massimo della vita per me, soprattutto se fa caldo (per me, le foto di quei wannabe-influencer sono autentiche e realistiche tanto quanto vedere qualcuno partecipare ad una corsa con dei tacchi a spillo, però per loro magari è comodo così). Prendi i possibili accorgimenti per rendere più comodo l’ambiente e non cercare scuse: io ho studiato argomenti di ingegneria anche nella sala macchine (in moto) di una nave da guerra in navigazione, in estate in Mediterraneo, portandomi dietro cuffie antinfortunistiche e bottiglia da due litri d’acqua con integratori. Chi vuole troverà i mezzi, chi non vuole troverà le scuse.

Datti tempo… ma non troppo

Ancora il tempo. Non dovrebbe stupirti, considerato che siamo fatti di tempo: la nostra vita è letteralmente un integrale nel tempo delle nostre attività e dei loro risultati, ci definiamo solitamente in base a quello che facciamo, ovverosia in base a come impieghiamo il nostro tempo – e come abbiamo speso il nostro tempo sarà valutato da noi e da chi ci ricorderà dopo la nostra dipartita (io sto impiegando questo tempo scrivendo quello che stai leggendo, spero almeno possa esserti utile). Diamoci il giusto tempo: dandoti troppo poco tempo, non ti preparerai adeguatamente, non valuterai bene le nuove opportunità e potrai persino correre il rischio di sembrare un disperato che si accontenterebbe di qualunque lavoro e a basso stipendio. D’altra parte, non va bene nemmeno continuare senza una scadenza (il tempo è uno dei criteri degli obiettivi misurabili SMART): se è vero che non stai correndo velocemente verso un bivio in cui devi scegliere, con le poche conoscenze a disposizione ed una dose di intuito, dove buttarti, è vero anche che non definirsi una scadenza rischia di farlo diventare qualcosa di indefinito nel tempo. Conosco persone che, aspettando “qualcosa di meglio”, sono arrivate alla vecchiaia, rimpiangendo di non aver scelto: anche non scegliere è una scelta, è la scelta di rimanere incastrati nella situazione attuale.

Su un tronco in una rapida, dovendo scegliere subito in quale direzione buttarsi.
Immagine creata da me tramite DALL-E 2.

Networking

Oltre allo studio in sè, è generalmente utile creare e coltivare una rete di contatti (ne ho parlato più in dettaglio nell’altro post); per onestà: reputo importante il “networking” e per molti è vero che “il tuo net-work è il tuo net-worth” (la tua rete è il tuo patrimonio economico), ma io onestamente ne ho fatto a meno, nella vita scolastica e lavorativa son riuscito a far sempre tutto da solo, ma non è un motivo di particolare vanto, son abbastanza sicuro che se qualcuno mi avesse aiutato/raccomandato (nel senso buono del termine, segnalare una persona di fiducia) avrei faticato molto, molto meno. Per questo, se puoi, cerca di spendere del tempo in tal senso.
Ognuno ha il suo stile personale (lunghe chiacchierate con una singola persona per volta o fugace scambio di battute banali tra un bicchierino e l’altro durante feste selvagge), ma cerca di essere il più possibile naturale e di non schematizzare/pianificare troppo. All’inizio può essere d’aiuto “forzarsi” un po’, ma dopo viene da sè: troveremo automaticamente molto interessante parlare con persone nel nuovo ambito di nostro interesse. Spesso poi si ha più di un interesse in comune: è probabile (anche se ovviamente non certo) che un ingegnere abbia passione per i dati e per il pensiero critico o che un umanista abbia passione per la filosofia, quindi ci troveremo a parlare anche di altro in maniera piacevole, forse treveremo quindi anche un amico.

Passioni

La vita meravigliosa che conduco ora – e per la quale sono grato ogni singolo giorno – è frutto di una notevole quantità di studio e pratica, ho sempre creduto fortemente nello studio come strumento di “riscatto” oltre che di miglioramento e di piacere. Ancora ricordo vividamente un’estate passata praticamente da recluso stile hikikomori quando, per una selezione interna speciale tra personale militare, ho dato il massimo, ben più di quant’era richiesto per superare alcune prove; quell’estate ho anche annullato una vacanza prenotata con una persona che frequentavo all’epoca, causandomi (oltre al danno economico della caparra) un pesante e comprensibilissimo litigio con la persona in questione. Sono dispiaciuto per il singolo evento in sè, ma non rimpiango la mia scelta. La mia attuale serenità è in gran parte frutto di quel periodo. Perché rivelo questo mio episodio personale? Intanto perché è la prova che lo studio (in generale: l’impegno, quando ben direzionato) prima o poi ripaga. Oltre a questo, per un’altra importante motivazione: il tempo speso e l’impegno profuso per prepararsi ad un’altra carriera (e ad un’altra vita) possono essere visti, in teoria, come un peso, come un enorme sacrificio, del tipo: già la mia attuale condizione è grama, se poi elimino anche quei pochi attimi di svago a disposizione, non ce la posso fare. Qui c’è un grave errore di pensiero: è vero che è richiesto un impegno (tanto più elevato quanto più è distante il nuovo percorso da quello attuale o da quanto “in alto” vogliamo puntare), ma si presume che sia verso qualcosa che ci piace di più del nostro attuale incarico lavorativo. Questo vuol dire che in maniera quasi automatica apprezzeremo anche il viaggio, oltre all’eventuale destinazione: se ora sono un cassiere e voglio fare lo psicologo, studiare ed approfondire le materie ed il mondo della psicologia richiederà degli sforzi, ma non sarà noioso nè particolarmente “pesante”. Altrimenti, se il percorso è correlato alla meta, vuol dire che c’è qualcosa che non va, forse siamo spinti da diverse motivazioni, ad esempio desideriamo una nuova carriera solo per compenso economico o prestigio e non per amore della professione in sè. In tal caso, è utile rivedere bene il motivo per il quale sogniamo quella particolare carriera.

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