Le meta-cose: un caso studio recente (in corso)

Uno dei fenomeni visibilmente in rapida espansione da qualche decina d’anni è quello dell’opinionismo: si tratta di concedere visibilità ad alcuni soggetti per effetto alone, per un principio di autorità o per tante altre fallacie logiche alle quali le masse, in misura variabile, sono soggette. E quindi la “persona famosa” (influencer) di turno si mette a parlare di misure adatte a contrastare una pandemia in un complesso sistema geopolitico o una persona in camice/uniforme si mette a dar consigli sulla televisione pubblica nazionale in merito a qualsiasi argomento che, quando va bene, ha approfondito in un esame universitario decenni prima e si è aggiornato leggendo un paio di articoli la settimana scorsa.

Se questi episodi sono riconoscibili da parte di chi applica il pensiero critico, esiste un fenomeno ancora più subdolo: quello delle meta-cose del momento. Provo a spiegarmi meglio, partendo da ciò che intendo, per poi parlare brvemente di alcune tipologie di attori che fanno parte del fenomeno e quindi mostrare subito un caso studio su cui rifletto da un po’ e che gode di un certo hype nonostante una lieve flessione dovuta probabilmente al periodo estivo, in cui si spera la gente abbia più piacere a godersi una pausa rispetto a continuare a produrre rumore e condividere le banalità del momento sui social network.

Le cose e le meta-cose

Per farla breve: esistono delle cose, delle meta-cose e c’è chi parla delle cose e delle meta-cose. Esempio pratico, ipotizzando che la [cosa] sia una sedia: esiste la produzione di una sedia, chi contribuisce alla valorizzazione e diffusione della sedia e infine chi parla dei due casi precedenti. Ancora troppo fumoso? Più concretamente:

  • alcune persone sono direttamente coinvolte nella creazione della sedia (dalla progettazione all’effettiva realizzazione dell’oggetto, con tutte le fasi che comprendono anche miglioramento e dismissione, come in tutti i buoni cicli di vita);
  • alcune persone si occupano del trovare persone a cui vendere la sedia, del valorizzare le sue qualità, del trovare possibili utilizzi anche alternativi;
  • altre persone parlano della sedia (della sedia in sè e dei suoi utilizzi o di spostarla, come nei due monologhi teatrali di Gaber) e di chi si occupa di trovarne utilizzi alternativi.

In linea di massima, più ci si allontana dall’oggetto, meno si è rilevanti, per diverse ragioni tra cui il non possedere gli strumenti per capire sia la base della [cosa] sia le implicazioni; inoltre, parlare di argomenti che non si padroneggiano produce valore nullo, se non addirittura “negativo” (ipotizzando o distorcendo l’informazione).

Quale che sia la motivazione che spinge a parlarne (per ottenere visibilità, per sentirsi parte dello Zeitgeist e combattere la FOMO o… semplicemente per monetizzare) è una continua ricerca di equilibri tra:

  • il posizionarsi in una zona democristiana per non sbilanciarsi (ad esempio: “[Cosa] sembra promettente, ha interessanti prospettive per il futuro!“) e l’esprimere qualcosa di deciso in un senso o nell’altro (“[Cosa] è la cosa più disruptive dai tempi della scoperta del fuoco!” oppure “[Cosa] non dura minga, non può durare!“);
  • il commentare o cercare di monetizzare sui parametri e le implementazioni superspecifiche (che solitamente sono molto deperibili, perché [cosa] probabilmente cambierà caratteristiche nel tempo, soprattutto se è qualcosa di sperimentale) e le speculazioni di alta filosofia sul significato che [cosa] ha sul genere umano.

Ciò che osservo, nei diversi settori delle cose, è che le proporzioni delle tre categorie tendono ad assumere una forma simile:

Poi c’è il post che state leggendo in questo istante, un ulteriore livello: meta-meta-cose 😀

Gli anziani che discutono di costruzioni davanti ai cantieri e i tifosi di calcio che si ergono ad allenatori davanti ad una partita trasmessa al bar son sempre esistiti; come Umberto Eco ci ricorda, gli attuali mezzi di comunicazione non hanno stravolto nulla, hanno solo reso possibile un’amplificazione di tali fenomeni – potremmo dire che ha permesso al gruppetto di amici al baretto di “scalare”.

Si osserva quindi un interesse tale da poter sfruttare [cosa] anche ad un secondo livello, arrivando al noto paradosso che porta ad arricchire non i cercatori d’oro, ma chi vende la vanga per cercarlo (o, se preferite un altro caso storico, non chi semina e raccoglie grano, ma chi noleggia gli attrezzi per farlo). Non c’è nulla di male finché non si perde il focus sulla [cosa] come mezzo e non come tematica principale, altrimenti si rischia di finire in una trappola nota a chi cerca di essere sempre più produttivo: lo strumento per la produttività diventa il nuovo oggetto sui cui rivolgere tutte le attenzioni, anziché utilizzarlo, appunto, come strumento. Se il mese prossimo ho un esame, cerco una metodologia e/o una tecnologia per massimizzare il risultato minimizzando il consumo delle mie risorse, ma poi scopro un nuovo “strumento miracoloso” e passo la quasi totalità del mio tempo a seguire tutorial e spippolare coi suoi plugin anziché utlizzarlo per metterci l’argomento di studio, mi son solo distratto per quel mese e non ho portato nessun risultato, se non quello di essermi distratto, nel concentrarmi su la [cosa] (in questo caso, lo strumento di produttività) piuttosto che utilizzarla come mezzo. Esiste anche un noto youtuber, un tempo medico, che ha fondato il suo attuale impero sul meta della produttività: gli strumenti e i metodi di produttività son diventati non più mezzi per continuare col suo percorso, ma il mezzo per monetizzare parlando di quei mezzi stessi.
Non credo fosse questo il senso delle parole pronunciate da Piero Angela (mio padre, R.I.P.) in una delle sue ultime apparizione pubbliche, quando sosteneva che il progresso si ottiene proprio mettendo in pratica la conoscenza. Se, ad esempio, comprendo che il minimalismo possa essere un metodo per aumentare la mia produttività nelle cose che mi piacciono e che credo portino valore, devo stare attento a non cadere nella trappola del meta del minimalismo, facendolo diventare poi la mia principale occupazione, passando il tempo a leggere libri sull’argomento anziché godermi il decluttering che ho fatto nella mia vita.

Con questo modo di vedere le cose, ho fatto caso ad una delle “cose” su cui si parla tantissimo e che è ormai diventata (almeno come terminologia) pervasiva al punto che anche i bambini e gli anziani in contesti lontani dallo studio dell’informatica ne hanno sentito parlare: l'”intelligenza artificiale”.

Il caso studio attuale: il meta dell’intelligenza artificiale

Piccola premessa: dell’argomento intelligenza artificiale penso di saperne qualcosina, ho studiato abbastanza sia la teoria sia la pratica (e ci ho lavorato), altrimenti non ne accennerei nemmeno. Trovo incredibile lo sbilanciamento tra alcuni settori: si ascoltano principalmente consigli di medicina da chi ritiene di capirne qualcosa perché ad esempio è un medico (salvo complottari che vedono big pharma ovunque), ma invece su tematiche tecnologiche si ha una falsa percezione diffusa che sia qualcosa di “semplice” per il solo fatto che ormai chiunque ha uno smartphone con decine di app installate e usa diversi mezzi trasmissivi, quindi si ascolta anche chi non ha mai visto una distribuzione statistica nè una riga di codice. Non mi stupisco più da quando una persona mi chiese: “Tu sei un informatico, quindi conoscerai bene tutte le impostazioni di questo social network”, cionondimeno reputo assurdo sentir parlare di questi argomenti e addirittura ergersi ad “esperto” chi non ha conoscenze di informatica e di matematica; il fatto che qualcuno utilizzi saltuariamente un’automobile e legga qualche rivista non dovrebbe metterlo allo stesso livello di un ingegnere meccanico.

Quella che segue è solo una veloce riflessione su un caso del momento, che forse espanderò nell’ottica di questo blog come “giardino digitale”.

Una delle notizie che “impazza e fa il giro del web” (come dicono i giornalisti boomer che vogliono credersi giovani) riguarda il rilascio di Bard, un altro chatbot di cui sentivamo proprio il bisogno. A livello globale, questo rappresenta quanto l’argomento sia cercato:

ci sarebbe però da specificare un hype regionale dovuto alla notizia del chatbot in questione pronto per essere utilizzato in Europa.

Uno dei miei primi pensieri in merito è stato: non è che forse asssisteremo all’invasione di libri sull’argomento come fu per un altro chatbot? E infatti, sulla versione italiana di un noto “negozio online” che vende (anche) libri:

Visto così, non ci sarebbe nulla di male: esce un nuovo strumento e qualcuno ne scrive. Sarebbe auspicabile che gli autori siano esperti della tecnologia che c’è dietro o che abbiano maturato una certa esperienza sullo strumento stesso, ma non ho ancora avuto modo di apprezzare le opere degli autori – se prendo ad esempio il secondo, tale A. A. Kabir, sembra sia parecchio esperto, non solo di Bard (quello che segue è solo un estratto delle sue opere, ce ne sono anche altre):

Magari ne saprà a pacchi su Bard, Threads e ChatGPT, ma più sicuramente sa come inseguire i trend del momento (potete vedere in quello screenshot anche un libro sul terremoto in Turchia e Siria, forse avrà competenze anche in quell’àmbito). Quello che però mi fa riflettere è la proliferazione di libretti sull’argomento, perché lo scenario che prospetto è qualcosa del genere:

Del resto, il costo per la produzione e diffusione di tali libri, in quella modalità (pubblicazione su quel sito online) è pressoché nullo: a fronte di un minimo investimento, “qualcuno ci casca” e farò qualche spicciolo, tanto più che la qualità importa l’abilità nel clickbait. Si può spaziare da argomenti ad alto livello come “i segreti che mi ha svelato l’intelligenza artificiale” ad implementazioni basso livello su come comporre il “prompt” perfetto per generare un titolo acchiappaclick per vendere la propria monnezza scalando le classifiche con tecniche “SEO 2.0”, che durano il tempo di uno starnuto, visto che non solo non sono sempre replicabili (si tratta di machine learning su tantissime variabili e che possono introdurre anche dei salt come si fa nell’hashing serio di password, non di algoritmi deterministici), ma soprattutto i creatori/manutntori cambiano di continuo i parametri. Quale valore mi può dare un libro che mi fornisce istruzioni passo passo di una procedura deperibile? Cosa mi resta? Davvero vogliamo rincorrere il trucchetto del momento anzichè afferrare i first principles delle cose?

Uno potrebbe anche dire: “che male c’è a pubblicare altri contenuti accanto a quelli già esistenti? C’è posto per tutti, lo spazio di vendita non è limitato, non sto sottraendo spazio ad altri contenuti già esistenti, di qualità e scritti da umani”. In realtà, però, rendo più difficile la fruizione, perché è come entrare in una libreria e dover cercare libri d’autore in mezzo a tantissimi libri spazzatura. Allo stato attuale, non è nemmeno segnalato se l’autore ha utilizzato un chatbot per produrre (in toto o in parte) il suo libretto, quindi si tratta di andare in libreria e perder tanto tempo nel capire se una nuova uscita nasconde potenzialmente una perla o se è frutto di un copia-incolla da un chatbot. Anche se alcuni chatbot producono testi migliori di discutibili best-seller.

Ecco i venditori di pale per i cercatori d’oro (e di libri simili ce ne sono centinaia!):


In attesa di contromisure per scremare libri ben fatti da testi che tritano in modo ridondante altre opere, buona scelta manuale a tutti, possibilmente su argomenti non meta-cose.

Un bot che scrive.
Immagine generata da me tramite Stable Diffusion (sì, utilizzando un tool di AI)

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