Premessa: leggo questo libro (e produco appunti qui “in tempo reale”) con la consapevolezza di non essere proprio “in target”: la finanza personale è un argomento che ho approfondito già parecchio tempo fa e traccio i miei “movimenti finanziari” sin da quando mio padre di elargiva una paghetta (decisamente simbolica) ai tempi delle scuole medie. Mi veniva sempre rimproverato di risparmiare troppo, son sempre stato un essere parsimonioso, più interessato all’essere che all’avere, più al contenuto che all’apparenza. Però mi rendo conto di quanto ci sia bisogno, per “l’umano medio” (a prescindere dalla nazione) di educazione finanziaria e di modelli a cui ispirarsi, che non siano i vari fuffaroli che pubblicano video da una Lamborghini noleggiata a Dubai. Purtroppo, a meno di avere la fortuna di crescere in una famiglia che insegni per bene la gestione del tempo, del denaro, delle emozioni, del pensiero critico… insomma, di ciò che davvero serve in un modo o nell’altro nella “vita vera”, difficilmente si riuscirà a formarsi una cultura in merito – la scuola (soprattutto quella italiana, che vogliamo convincerci essere tra le migliori dell’universo) è troppo occupata a riempire le teste dei ragazzini di date inutili e di nozioni che non sono mai servite a nulla. Bando alle ciance e affrontiamo questo libro di Francesco Narmenni (che già conoscevo per via del suo canale Youtube e del suo blog (smetteredilavorare.it). Nota importante per fornire un contesto: il libro è stato scritto da un italiano nato e vissuto per gran parte del tempo in Italia, data di pubblicazione: agosto 2019.
Introduzione
Francesco racconta della sua infanzia dove ha avuto come modello i parsimoniosi genitori. Direi in linea con l’incremento del risparmio medio delle famiglie italiane dell’ultimo periodo. Aggiungerei anche che sì, il modello durante l’infanzia è importante, ma ricordiamo anche il noto paradosso dei gemelli (non quello sullo scorrere del tempo nello spazio), una storia che è pressapoco così: a uno dei due gemelli, figli di un padre alcoolizzato, chiesero “perché bevi?” risposta: “da piccolo, osservavo mio padre”; all’altro: “perché NON bevi alcoolici?”, risposta: “da piccolo, osservavo mio padre”. Morale: importante i modelli a cui siamo esposti, ma crescendo possiamo riflettere e capire se vogliamo seguire o meno quei modelli. Durante i miei primi vent’anni, come tutti crescendo, son stato esposto a diversi modelli: alcuni li ho presi come esempio da seguire, altri come punto di riferimento per capire come non volevo diventare. E soprattutto, anche grazie alla pratica della mindfulness, sto imparando (è un processo che dura tutta la vita) a capire meglio cosa voglio (io, non quello che penso di volere perché condizionato dalla società) ed essere davvero libero di scegliere, non di seguire la massa di persone col cervello spento.
Parte 1 – “Perché non sono ricco?”
L’autore parte con una domanda posta ad un suo amico, ossia: “cosa faresti con 100.000€” e si conferma da subito come una persona razionale e pragmatica che vive nel nostro tempo, con considerazioni attuali sui mercati e sul comportamento della maggior parte delle persone, in gran parte convinte che si possa diventare ricchi solo ereditando o vincendo qualcosa. La maggior parte della gente è ignorante finanziariamente (e non solo, dato l’altissimo tasso di analfabetismo funzionale), quindi non distingue concetti diversi tra loro, come anche si imbroglia facilmente su molte considerazioni a carattere finanziario e non solo (suggerisco sempre il libro di Kahneman, “Pensieri, lenti e veloci”: è illuminante). In maniera ordinata, Francesco parte dal concetto di prodotto interno lordo di una nazione e del significato delle sue variazioni – io suggerirei di integrare quelle nozioni basilari con questo filmato che riassume in mezz’ora in maniera abbastanza accurata come funziona l’economia:
Si pone l’accento sulla ricchezza “percepita” (il “sentirsi” ricchi, come vedevo negli occhi di alcune persone che correvano a sperperare gli 80 euro “regalati da Renzi”). Noleggiare la tanto agognata Lambo che i fuffaroli ponziani ostentano su Tik Tok fa solo “sentire” (momentaneamente, con rapido decadimento, come visto studiato nella Scienza dello stare bene) più ricchi, mentre si erode il proprio patrimonio (io, ad esempio, traccio nel mio foglio di calcolo relativo al patrimonio, anche la svalutazione della mia automobile, mentre molti a stento sanno cosa sia, figuriamoci come si calcola, men che meno tracciarla). La ricchezza reale, continua l’autore, è correlata alla capacità di generare denaro e, a meno di essere un top manager di una importante multinazionale, la via per la ricchezza passa dal risparmio. Passiamo gran parte del tempo a sopravvivere come automi, considerando normali anche comportamenti disfunzionali (che sfociano in disturbi dell’adattamento o in patologie ben più gravi), in un film che per molti è questo:
Una massa di zombie che ripetono la stessa routine insensata (e spesso frenetica) quotidianamente e posso confermare di aver visto colleghi correre con l’auto per andare a casa dove li attendeva un televisore che li sedasse per non pensare alla loro vita vuota (motivo invece per abbracciare la mindfulness e acquisire consapevolezza, se si vuole provare a migliorare la propria condizione). Il meccanismo viene perpetuato tramite il consumismo, come sappiamo (o dovremmo sapere) da decenni – suggerisco la lettura, tra gli altri, di “The dopamine nation” e di “The happiness trap”.
Narmenni accenna poi brevemente chi tiene i fili di questo sistema (e no, non sono gli influencer o chi vive sotto i riflettori distraendo il popolino, parla di George Soros e tanti altri che hanno il potere di modificare gli equilibri economici di intere nazioni). Accenna poi, sempre con lucidità e senza quella fastidiosa aura da complottaro tipica di molti, anche ai rapporti delle istituzioni con le società di consulenza. Compare nel libro anche la tristemente nota sproporzione: le 8 persone più ricche possiedono lo stesso patrimonio economico che viene diviso tra quasi 4 miliardi di persone, mentre chi sulla carta potrebbe fare qualcosa per limitare queste esagerate aberrazioni poco etiche del sistema, passa il tempo a fare comizi elettorali in una continua propaganda che degli ultimi si interessa solo a parole, per poter carpire il numero maggiore di voti. Un meccanismo possibile grazie alla qualità mediocre dell’istruzione erogata alla maggioranza della popolazione (ottima per produrre altri mattoni per il muro, come dicevano i Pink Floyd) e agli aiutini economici (tanto quanto basta a mantenere tutti in uno stato che, sempre i Pink Floyd, chiamerebbero “Comfortably Numb” – del resto, sappiamo tutti che per bollire una rana basta scaldare l’acqua un po’ alla volta, il popolo si abitua a tutto, prima di accorgersi di essere lesso). La massa va tenuta dipendente (non è una coincidenza quella parola usatra per i lavoratori in un’attività di qualcun altro) senza possibilità di liberarsi dalle proprie catene (così domani si ripresenta a lavoro) e continuamente distratta con intrattenimento di infima qualità, ma “addictive” (ne ho già scritto più volte in questo blog), ben lungi dalla consapevolezza. Come scrive l’autore: “lo strumento più potente: spingere la massa a ritenere che è di moda e divertente essere stupidi e volgari”; io aggiungerei anche: mostrare programmi televisivi idioti in prima serata, dove sentirsi migliori rispetto a chi interpreta la parte dello stupido del villaggio, senza capire che i veri stupidi son quelli che guardano quei programmi che perpetrano l’immaginario di stili di vita “invidiabili”, intervallati da messaggi pubblicitari che influiscono pesantemente sulle abitudini dei consumatori (termine che uso indistintamente per gli spettatori). Ovviamente i politici non sono minimamente interessati a risollevare le sorti del popolo di lavoratori, perché loro, come direbbe anche Nassim Taleb, non hanno “skin in the game”: loro non fanno parte del sistema dei poveracci perché, dopo aver gabbato il proprio elettorato di riferimento, devono solo sopravvivere il tempo necessario a stringere ulteriori accordi per garantirsi poltrone successive, mentre intanto maturano un vitalizio che è ordini di grandezza superiore alle pensioni di chi lavora sul serio.
L’autore (come me, informatico) continua a puntare il dito sull’industria dell’intrattenimento che ci mangia tempo, attenzione e soprattutto dati personali: tracciando le nostre abitudini, riescono a intontirci maggiormente e “targettizzarci” con incredibile precisione per modificare il nostro modo di pensare mentre intanto ci propongono stili di vita da seguire e oggetti/servizi da comprare, agendo sempre sui nostri più bassi istinti e sulle leve di paura e desiderio. E poiché tutti i vari manipolatori hanno capito che il vecchio “divide et impera” funziona soprattutto quando applicato alle masse (anche ben prima dell’ultima pandemia), siamo quasi ridotti a degli hikikomori, isolati gli uni dagli altri, salvo qualche contatto superficiale; di conseguenza, non possiamo sperare in una “presa di coscienza di classe”, ma liberarci ognuno per conto proprio, iniziando dallo svegliarsi dallo stato di torpore (dal continuare ad andare col pilota automatico perché “tutti fanno così e si è sempre fatto così”). Se continuiamo a voler vivere nelle nostre gabbie piene di distrazioni, di certo non cambieremo nulla. Difficile sicuramente arrivare alla piena autonomia (siamo, nel bene e nel male, in un sistema di connessioni interdipendenti e vivere soltanto dei prodotti del proprio orto e farsi da sè di tutto, dalla casa ai vestiti, non è utopistico, ma certamente molto impegnativo e comporta parecchi sacrifici che non tutti siamo disposti ad accettare), ma possiamo almeno cercare di ridurre al minimo le dipendenze, iniziando da ciò che è davvero superfluo (e riducendo i consumi, in un mondo che reputa normale pagare 250€ un paio di jeans cinesi solo perché sponsorizzati dalla “influencer” che li indossa sculettando in video di pochi secondi sui social network). Infatti l’assunto “lavoriamo per permetterci di vivere” non è interamente corretto: usiamo solo una parte per garantirci il tetto sopra la testa e il cibo nello stomaco, perché per il resto “compriamo cose che non ci servono, con soldi che non abbiamo, per impressionare gente che non ci piace” (da “Fight Club” di Chuck Palahniuk). Tra i mestieri più pagati, ci sono gli esperti di market(t)ing, “creativi” e gestori di campagne pubblicitarie, in poche parole: una delle industrie che fattura di più, insieme a quella dell’intrattenimento, è quella della “creazione di bisogni/desideri”. Viviamo in una società dove c’è il culto di un tizio che come unico pregio aveva quello di saper vendere: il computer da vendere lo realizza un ingegnere elettronico e programmatore di nome Steve Wozniak, ma milioni di persone poco sveglie venerano l’arrogante venditore (il potere e i soldi, ai venditori che non producono alcun valore, glieli diamo noi). Come ricorda l’autore, molti non sono nemmeno padroni dei propri desideri: se gli vien chiesto di immaginare cosa li renderebbe felici, probabilmente prenderebbero in prestito immagini di altri, di persone che reputiamo “di successo” (almeno di facciata).
Consigliava Angelo Branduardi: “Tutto vanità, solo vanità, vivete con gioia e semplicità”. Compriamo cose, siamo accumulatori seriali (fino all’estremo dei “sepolti in casa”) nella vana speranza che gli oggetti possano renderci più felici (benché gli studi dicano che si è più felici spendendo danaro in esperienze, non in oggetti, che comunque utilizziamo per una frazione del tempo). Non solo gli oggetti, ma nemmeno il lavoro è per sempre (come sanno bene le decine di migiaia di dipendenti delle big tech statunitensi licenziati negli ultimi mesi); direi di ricordarci spesso dell’impermanenza di tutto, come da tradizione buddhista. Inoltre, le garanzie sui nostri averi sono sempre meno: il nostro conto in banca, almeno per il momento, è salvo (per direttiva europea) solo fino a 100.000€, il resto potrebbe scomparire improvvisamente, senza preavviso. E anche accumulare ricchezze non ci porterà alla soddisfazione definitiva: avremo sempre i nostri vicini Joneses rispetto ai quali sentirci più poveri, di certo non è affannandoci a correre più veloci nella nostra ruota per criceti che ci sentiremo più soddisfatti.
L’autore parla poi della relatività (poiché in effetti anche il cervello funziona in termini comparativi, non assoluti) della ricchezza e del fatto che ci sentiamo meglio nel vedere che gli altri sono più poveri (come nel meccanismo del telepass e in tanti altri sistemi che spesso Natalino Balasso ha sagacemente illustrato). Molti poveri si indebitano (soprattutto in nazioni dove la cultura del debito è la normalità, come negli USA) solo per comprare oggetti che associa ai ricchi, ma che spesso i ricchi vero non comprano. Di conseguenza, per una gratificazione ed un’ostentazione immediata, i poveri rinunciano a mettere da parte un po’ di risparmi per uscire dalla loro condizione. Ciò che si propone Narmenni è di riuscire a far capire come poter ambire non alla ricchezza smodata del top 1% della popolazione ricca, nè quella che si basa sullo sperperare per apparire, ma a quella che è una serenità data dall’indipendenza finanziaria (quella discussa da un po’ di tempo nel movimento FIRE), che si basa principalmente sul risparmio e su piccole rendite passive diversificate capaci di sostenere il proprio stile di vita. Nelle parole dell’autore ritrovo anche i concetti alla base del minimalismo (che non è vestirsi sempre uguale o arredare casa di bianco, è un concetto profondo che sfugge alla maggior parte delle persone che guarda solo agli aspetti esteriori):
“Se crediamo che la nostra vita perda di significato una volta rimosso il superfluo, vuol dire che l’esistenza che stiamo conducendo è vuota”.
Parte 2 – “Sai quanto spendi?”
Francesco qui tocca un punto che a me sembra ovvio, riassumibile in: non puoi gestire ciò che non conosci (si estende a tutto: dalla gestione della propria giornata se non conosciamo quanto tempo ed impegno ci servono per le varie attività, fino alla gestione di attività lunghe per sistemi complessi). Io, come detto all’inizio, son abituato a tracciare i miei averi sin dalle prime paghette e “lasciti” per i miei compleanni, per una specie di passione innata per numeri e grafici (in un certo senso, ingegneri si nasce ;P). Una persona normale può comunque imparare a tracciare le proprie spese (almeno per un anno intero, dato che alcune spese sono annuali ed in alcuni mesi si possono comprare beni/servizi diversi). Il consiglio è quello di segnare tutto, anche il singolo caffè al bar (suggerisco di segnare tutto su un foglio di carta se lo portiamo sempre dietro o su uno smartphone che immagino si abbia sempre a portata di mano). Si può anche valutare di tenere il foglio online, sul cloud (se non ci sono particolari paranoie riguardo la riservatezza dei dati e se si utilizza una robusta autenticazione a due fattori).
L’autore suggerisce in maniera molto pragmatica di:
- Definire un piano di risparmio dopo aver fissato un obiettivo preciso (es.: mettere da parte 250.000€ in 10 anni). Ovviamente quello proposto è un esempio da personalizzare in base alle proprie condizioni (quindi in base alle proprie entrate e spese per particolari situazioni).
- Chiedersi per ogni singola spesa (soprattutto se ricorrente, come abbonamenti) se è indispensabile, non ci siano alternative gratuite o a minor costo.
- Far caso alla nostra sensazione mentre spendiamo in maniera eccessiva o troppo frequente per cose considerate normali (come comprare di continuo smartphone di fascia alta quando non ci serve).
- Considerare la gioia di attività gratuite o a bassissimo costo (come una passeggiata nel bosco) rispetto a quelle costose (come girare i “ristoranti esclusivi”).
- Capire che si risparmia per il fine di essere liberi (diverso da “essere spilorci”, che vuol dire cercare di risparmiare nel breve periodo, ma prendendo roba di bassa qualità che si distrugge prima e causa problemi).
- Limitare consumo di carne, dolci e alcool (riduzione che fa bene anche alla salute) e preferire materie prime rispetto a cibi pronti.
- Quando si fa un uso massivo di alcuni prodotti a lunga scadenza, cercare di comprarli in gran quantità ottenendo sconti (o approfittare quando ci sono offerte).
- Non ignorare a priori discount e controparti economiche.
- Se possibile, considerare il cohousing (mini-appartamenti con cucine e lavanderie in comune), magari in comunità che presentano possiiblità di corsi.
- Valutare l’acquisto di una casa in montagna da ristrutturare e da rendere autonoma dal punto di vista energetico.
- Docce veloci anziché riempire la vasca (e ringrazia anche l’ambiente).
- Aquistare solo abbigliamento davvero utile e conservarlo bene.
- Cercare gruppi di acquisto, gruppi di baratto e simili.
- Se si valuta di comprare un’autovettura, considerare sconti/promozioni ignorando scelte stringenti di opzional e colori. Alla guida, cercare di “guidare gentilmente” (cit. Mogol/Battisti), io ad esempio uso quasi esclusivamente la modalità “eco”, anche se principalmente per inquinare meno.
- Controllare l’utilizzo di telefonia e dati e relativi contratti.
- Quando possibile, ricorrere all’usato (ad esempio: per i libri, a volte disponibili anche in biblioteca).
- Viaggiare frugali (tra l’altro, mangiare un panino a pranzo permette di risparmiare tempo utile per l’esplorazione, considerare tempo e costo in un ristorante solo se davvero merita).
- Per imbellettamenti vari (trucco e parrucco), cercare il minimalismo (essere “curati” non implica spendere cifre consdierevoli).
Coltivare inoltre passioni: in questo modo, si prediligono attività (interessanti), non la fruzione passiva di contenuti spesso a pagamento e dipendenti dall’esterno; in altri termini, sarà più probabile divertirsi senza soldi (fanno eccezione alcuni rari sport o hobby che richiedono attrezzature particolari o condizioni specifiche).
L’autore mostra tabelle con esempi pratici, voce per voce, aggiungendo poi i casi specifici di risparmiatore normale o “estremo” (non per tutti).
Cercare di costruire forme di rendita passiva crescente. Una rendita passiva è un’entrata che non è funzione del tempo: nel lavoro classico, scambiamo il nostro tempo per una somma di denaro, mentre se produciamo ad esempio dei contenuti (libri, video, altro) che si continuano a vendere nel tempo o se investiamo (con un po’ di fortuna) ad esempio in fondi di investimento bilanciati e ben diversificati, potremo avere entrate che non sono funzione del tempo speso. In realtà, se gli investimenti vanno bene, c’è anche l’interesse composto. Il punto è cercare di non intaccare il proprio patrimonio accumulato (o di eroderlo molto lentamente).
Parte 3 – “L’investimento immobiliare”
NOTA: MIE CONSIDERAZIONI
Qui l’autore dimostra di aver approfondito con un po’ di ricerche l’argomento, ma nel caso specifico conosco esperti che lavorano da decenni nel settore e purtroppo, per quanto apprezzi la buona volontà di Narmenni nel provare a schematizzare e convincere che il mercato immobiliare sia il più sicuro, non posso totalmente avallare quanto scritto. Anche volendo ignorare “il cigno nero” (come Nassim Taleb chiama gli eventi imprevedibili), esistono diversi casi per i quali una zona diventa improvvisamente inabitabile, ci costruiscono qualcosa che rende difficile raggiungerla, che ne rende irrespirabile l’aria o assordante anche a finestre chiuse, convogliano tutto il traffico dei mezzi pesanti per le vie del centro e tanto altro. In casi simili, potrebbe diventare quasi impossibile rivendere l’immobile, altro che recuperare i costi. Inoltre, esistono diverse città nel mondo che sono in forte bolla, esempio:
Ma si tratta sempre di stime e soprattutto di valori medi. Un valore superiore a 1,5 vuol dire che molto probabilmente si sta pagando sovraprezzato di almeno il 50%, che vorrebbe dire esporsi al rischio di trovarsi improvvisamente con una casa che vale il 50% in meno (in maniera grossolana: pagare 450.000€ per una casa che il giorno dopo non si riesce a rivendere per più di 300.000€). Insomma, investire nel mercato immobiliare è tutto fuorchè “sicuro”, nè a breve, nè a lungo termine. Questo è un esempio dell’andamento del prezzo medio di vendita per metro quadro di case nella provincia della capitale italiana:
Tradotto: nonostante nel frattempo quasi sicuramente chiunque ne ha avuto possibilità ha cercato di adeguare/ristrutturare (quindi aumentandone il valore effettivo, anche considerando l’efficientamento energetico e la messa in sicurezza), se il prezzo medio di acquisto nel 2014 superava i 3.300€/mq, ora siamo sui 2.700€/mq. Mediamente, quindi, il valore per una casa di 100mq è passato da 330.000€ a 270.000€ (60.000€ in meno dopo 8 anni, non è proprio un grande affare). Ho sostenuto abbastanza esami di statistica per capire che la distribuzione non è omogenea e che quindi ci sono variazioni anche importanti nell’andamento delle singole zone, ma il concetto resta lo stesso. Per avere un confronto con uno degli indici di riferimento, questo è lo S&P500 nello stesso periodo:
Tradotto: da circa 2.000$ a circa 4.000$. Quindi, se nello stesso periodo avessimo investito in lump sum (quindi direttamente tutti i soldi investiti immediatamente) quei 330.000€ in un fondo che replica S&P500, ora, dopo 8 anni, avremmo 660.000€. Considerato per eccesso l’affitto mensile medio nella provincia di Roma a 14€/mq x 100mq, per 8 anni, sono 1.400€ x per 96 mensilità = 134.400€. Se avessimo investito i soldi in un fondo, vivendo nel frattempo in affitto, ci troveremmo con 660.000€ – 134.400€ = 525.600€. Quasi il doppio dei 270.000€ del valore della casa che avremmo invece comprato. Diciamo tranquillamente il doppio, poiché i calcoli che ho effettuato non tengono conto di tasse e costi di manutenzioni relativi ad una casa di proprietà in 8 anni.
Ritornando invece ai consigli dell’autore:
- Trattare sul prezzo perché è solitamente maggiorato (vale in sostanza la solita regola della negoziazione che tanto piace a molti abitudinari dei mercatini e cacciatori di sconti);
- Evitare le agenzie, perché hanno spesso percentuali elevate;
- Attenzione all’accordo preliminare dal notaio;
- Attenzione alle ristrutturazioni (e aggiungerei: attenzione alla classe politica di nazioni poco serie, dove i governi cambiano condizioni sui “bonus ristrutturazioni” con la stessa frequenza con cui ci si cambiano gli indumenti intimi);
- Contattare l’amministratore di condiminio e visionare eventali pendenze di pagamento;
- Aggiungo io: controllare eventuali pendenze in generale, si potrebbe amaramente scoprire che ci sono ipoteche sull’immobile o situazioni poco chiare al catasto;
- Altro punto che aggiungo, dopo aver visto le esperienze di amici sempre in Italia: scrivere per bene tutte le varie penali temporali nelle varie fasi contrattuali, per evitare di trovarsi sotto un ponte mentre il vecchio proprietario rimanda a piacere la data del rogito.
Francesco continua poi parlando di detrazioni (che salterei a piè pari considerato, come ho scritto prima, che le leggi in Italia cambiano così spesso che non si fa in tempo a leggere la versione in vigore che già è uscita altra normativa che integra/modifica/abroga).
Le considerazioni dell’autore sugli affitti sono valide, sul tener conto del periodo e della tipologia di affittuari (affittare in maniera stagionale per le vacanze o a studenti o a famiglie), ma anche lì esorterei a stare molto attenti, soprattutto in nazioni che tutelano più i criminali e gli abusivi che non i legittimi proprietari (ogni riferimento a nazioni in cui le forze dell’ordine non possono sfrattare farabutti che si intrufolano in appartamenti altrui ed usano bambini o malati come “scudo” è puramente casuale).
Segue un paragrafo è sull'”affitto estero”, ma lì io consiglierei caldamente di rivolgersi a uno (o più) commercialisti per evitare spiacevoli sorprese (anche penali) in fatto di tassazione.
Il capitolo si conclude con degli esempi e considerazioni pratiche sul come comprare, con tanto di indicazione del valore dei BTP al momento (ne apprezzo la pragmaticità e la chiarezza, ma ovviamente questi aspetti vanno da intendersi come estremamente “correnti”, che vanno rivisti, come per la parte normativa, volta per volta).
Parte 4 – “Cosa me ne faccio del denaro”
Abbiamo risparmiato e accumulato denaro, cosa ne facciamo? Ci riempiamo una vasca per farci il bagno come Paperon de’ Paperoni? Lo preleviamo in banconote di piccolo taglio e lo lanciamo imitando i trapper nelle videoclip? Ci stampiamo l’estratto conto in font grandezza 72pt e lo sfoggiamo per strada?
Fermo restando che la ricchezza economica non è un fine, ma un mezzo (per la libertà/serenità), ricordiamoci un attimo le varie trappole in cui si può incappare avendo accumulato una certa quantità di denaro: l’effetto treadmill (più spendiamo, più occorrono cifre alte per avere una simile soddisfazione nella prossima spesa, dovuto anche all’adattamento edonistico che si basa in parte su meccanismi di ricompensa dopaminica che entrano in gioco anche in caso di dipendenze) e il paradosso di Easterlin (a grandi linee: quando aumenta il reddito, e quindi il benessere economico, la felicità umana aumenta fino a un certo punto, ma poi comincia a diminuire, seguendo una curva a forma di parabola con concavità verso il basso… ma è una teoria di un professore di economia, che lascia il tempo che trova, di certo non possiamo aspettarci il rigore delle “scienze dure”).
L’autore ipotizza diverse tipologie di stili di vita:
- grande risparmiatore con piccolo guadagno;
- medio risparmiatore con vita agiata;
- ricco accumulatore con capitale crescente.
Queste tipologie ricordano quello che, in gergo FIRE, sono Lean FIRE, Fat FIRE e tutte le altre fantasiose varianti e sfumature che si possono ad esempio leggere in questo articolo del Time.
Come ultimo appunto, Francesco accenna a possibili modi per trovare la determinazione necessaria, tra motivazioni, abitudini, differimento di piccole vuote gratificazioni e concentrarsi sul fatto che dire di sì a qualcosa corrisponde dire no ad altre e viceversa (e conseguente importanza del focalizzarsi su ciò che per noi davvero conta).
Mie ulteriori considerazioni
Il libro in sè, se si considera un target generalista di persone che approcciano il tema dell’independenza finanziaria per la prima volta, è abbastanza valido: ho trovato i concetti generalmente corretti e buoni gli spunti, facilmente applicabili, nella maggioranza dei casi (o comunque danno un’idea, una direzione da seguire). L’unico punto che trovo abbastanza discutibile e quantomeno “molto soggettivo” è la parte relativa agli investimenti sul mercato immobiliare, per i motivi che ho esposto precedentemente.
Lo scorso anno, una persona a me cara mi ha chiesto un parere in merito ad un “best seller” dozzinale come “The millionaire fastlane” (“Autostrada per la ricchezza”) di MJ DeMarco. Non avendolo mai letto prima, non avevo un’opinione precisa e, come faccio in questi casi, l’ho letto: un’opera che parte da premesse poco condivisibili (come il fatto che tutti odino il proprio lavoro) e che trascina due paginette di concetti banali diluite in oltre 300 pagine di slang americano rivolto alla pancia della gente (parliamo di un libro che inizia con “da piccolo ho visto un giovane in Lamborghini” e descrive con pathos i dettagli delle sue sofferenze e delle sue privazioni economiche, ci siamo capiti quale sia il pubblico di riferimento). Un libro che ho finito a fatica per quanto era diventato un tormento di ripetizioni inconcludenti nel peggior stile statunitense a cui questi libretti ci hanno abituato. Centinaia di pagine per dire: “Fatti venire un’idea, produci qualcosa e diventa ricco”. Genio! Ho quindi potuto rispondere a chi me l’aveva chiesto: piuttosto leggi targhe di automobili a caso, ma lascia perdere quella robaccia.
Bene, in questo caso, parlando di “Ricco solo risparmiando”, non mi pento assolutamente di aver speso mezzo pomeriggio nel leggere concetti che conoscevo e spunti che applico da anni (mi riferisco ovviamente a quelli che condivido): a volte è interessante vedere come un’altra persona riassuma gli stessi concetti, ma con le sue esperienze e col suo modo di vedere e pensare.
Decisamente, un libro che consiglio a chiunque sia a digiuno di tematiche di finanza personale che dovrebbero invece essere insegnati durante la scuola dell’obbligo ed approfonditi in seguito. Anche perché considero la parte economica come un’applicazione pratica di concetti ben più profondi: il nostro modo di guadagnare e di spendere dice molto di noi, è espressione dei nostri valori che passano attraverso i nostri obiettivi e che si realizzano in toto, in parte o per nulla in base alle singole azioni che compiamo. E il flusso economico (che sia in liquidità o in oggetti) fornisce un’indicazione di cosa per noi è importante o cosa no: osservare come/quando/dove/quanto/perché spende una persona non la definisce totalmente, ma può aiutare a capire che tipo di persona sia, insieme a valutare come spende il suo tempo e la sua attenzione. Partendo da noi stessi, con consapevolezza, facciamoci caso. E, dalla consapevolezza, agiamo con intenzionalità.
Buon risparmio ponderato e buona sana ricchezza a tutti! 🙂