Ho scritto più di un articolo in merito a come identificare, prepararsi e iniziare/cambiare lavoro, ma mi mancava ancora qualcosa: ascoltare il parere di alcuni sull’argomento, prevalentemente italiani per una questione di contesto culturale simile (se stai leggendo queste parole, probabilmente sei ora in Italia o ci hai trascorso parte della vita e quindi può aver senso cercare riferimenti italiani, a differenza di quanto avviene per argomenti a carattere globale o tecnico/scientifico – le leggi fisiche e chimiche restano praticamente invariate ovunque, ma non è lo stesso quando si parla di tematiche a carattere sociologico). Senza ulteriori preamboli, provo di seguito a riassumere il pensiero e i consigli che ho estrapolato dai loro video su YouTube (il link è disponibile cliccando il loro nome). NOTA: tra parentesi le mie personali considerazioni/note.
Marco Montemagno (Imprenditore e “opinionista”) – “Cosa farai da Grande?”
Quella domanda funziona solo per chi ha già idee più o meno chiare, almeno su tipologia/settore, ma per altri si potrebbe cambiare/invertire la domanda: un’idea dall’almanacco di Charlie Munger è non pensare a dove voglio arrivare, ma da dove parto, da attitudini e punti di vantaggio (come sempre, importanza della consapevolezza e per approfondire: analisi SWOT). Quindi posso guardare a quelli che sono i miei punti di forza e andare in quella direzione, potenziandoli.
Alessandro de Concini (Imprenditore su apprendimento) – Ikigai (Ispirato anche da Justin Sung, v. dopo)
Importante partire dalla consapevolezza, può essere utile anche svolgere qualche test (ad esempio sulla personalità, ma cercandone di seri), non tanto per i risultati ma perché le domande ci aiutano a riflettere. Si può utilizzare il solito grafico Ikigai chiedendosi:
- Cosa amo fare?
- Cosa serve al mondo?
- Per cosa posso farmi pagare?
- In cosa sono bravo?
Accettare anche compromessi, senza la pretesa quasi utopica di raggiungere il centro. Tenere in considerazione che, col passare del tempo, possono cambiare i nostri interessi (complice anche l’allungamento dell’aspettativa di vita media e della qualità della vita in età adulta, il “tempo utile” si è allungato al punto tale da poter svolgere tante professioni e attività anche molto diverse tra loro). Alcune volte, servono presupposti non immediatamente disponibili ora, quindi possiamo rimandare mentre nel frattempo ci prepariamo (ne ho scritto più in dettaglio qui: Nel costruirsi una nuova opportunità professionale), nel frattempo possiamo delineare la strada per raggiungere l’obiettivo finale e fissarci obiettivi intermedi (divide et impera). Chiedersi in definitiva:
5. Questo obiettivo è raggiungibile? Con le risposte: sì, no, sì solo se si verificano alcune condizioni – e concentrarsi su quelle.
Scrivere 5 risposte per ognuna delle 5 domande. Posizionarle poi nel grafico di cui sopra e vedere quali sono quelle che son più vicine al centro (ossia che sono comprese in più intersezioni): tra quelle, probabilmente, ci sarà quella che (con i nostri pensieri attuali) è la nostra “Raison d’être” (ragion di vivere).
Riccardo dal Ferro (Filosofo) – “Che lavoro vuoi fare da grande?” è una domanda stupida
La domanda “che lavoro vuoi fare da grande?” è una domanda posta in maniera stupidamente seria ai bambini, perché come gioco può andar bene e la si ricorderà sorridendo in futuro, ma altrimenti si va solo a stressare un bambino che non ha idea pratica di cosa sia il lavoro, mentre ci aspettiamo risposte consolatorie per noi. Dimentichiamo che lavoro è un effetto, non un presupposto: il lavoro dovrebbe esprimere cosa sono come persona, non il contrario – salvo casi in cui sono costretto ad accontentarmi e ripiegare su altro per necessità.
La situazione è ancora più drammatica quando l’adulto, anziché ascoltare le ambizioni del bambino, gli dice che le sue aspirazioni sono difficili da realizzarsi perché non tutti diventano astronauti o sportivi professionisti, quindi ha spesso l’effetto di stroncare i sogni e scoraggiare, anziché motivare a prepararsi per quella carriera.
Concentrarsi, attraverso tante fiabe e anche cartoni animati, sui valori, su cosa voler diventare e cosa non voler diventare da grande come persona, più che come professione: il bambino può, tramite gli esempi buoni e cattivi, identificarsi in uno o più caratteri. Attraverso l’esposizione a differenti esempi, si avrà più concretezza nelle risposte, aiutando a vedere il futuro se stesso in maniera meno astratta.
Andrea Giuliodori (Imprenditore su crescita personale) – 10 domande a cui rispondere senza pensar troppo
- Per cosa sei disposto a soffrire?
- Come immagini la tua vita tra 5 anni? (immagina nello specifico un giorno normale di una settimana qualunque)
- Cosa faresti se non avessi paura? (e anche: cosa faresti se i soldi non fossero un problema?)
- Se non avessi paura di fallire, quale progetto avvieresti?
- Quali sono i tuoi 3 più grandi talenti / punti di forza? Cosa ti riesce facile?
- Cosa faresti se ti restasse solo un’ora di vita? Disegna la tua vita in modo da massimizzare la probabilità di poter svolgere quelle attività.
- Quand’è stata l’ultima volta che ti sei sentito “vivo”?
- In caso di una catastrofe sulla Terra, quali sarebbero le 5 attività/abitudini che ti mancherebbero?
- Quale lavoro saresti disposto (non costretto) a fare gratis?
- Chi ammiri di più nella vita?
Filippo Ongaro (Medico e coach) – 3 strategie
Difficoltà: assenza di chiarezza – umorista Don Herold scrisse: “Unhappiness is not knowing what we want and killing ourselves to get it”.
- Riflessione: riflessione scritta e ripetuta aiuta a non essere in balia di eventi esterni. Possono essere parole anche scollegate, valori, obiettivi… da scrivere anche sparse e poi rileggere e cerchiare quelle importanti per noi;
- Ascoltare: meditare per calmare la mente e ascoltarsi (ho già scritto in merito ai benefici);
- Superare: con le varie tecniche psicologiche ad esempio di esagerare/amplificare le nostre paure più grandi per affrontare cosa potrebbe accadere nel caso peggiore per noi (e vedere che non sarebbe la fine del mondo o che è una fantasia irrazionale o incredibilmente poco probabile).
Antonino Tamburello (Psichiatra e psicoterapeuta) – “Non so cosa fare della mia vita. Un consiglio”
La paura per il futuro era un tempo molto più funzionale (v. The Happiness Trap), ora è esagerata tanto che anche uno studente di medicina può avere paura di morire di fame in futuro. Alcuni sono spinti da passione di imparare/fare e paura di morire di stenti (leve dolore e piacere). Della giornata, 8 ore dovrebbero essere spese nell’imparare/fare. Chi ama, opera – o si preparare ad operare – ma innamoratevi rimanendo liberi dal progetto. Non abbiate paura di lanciarvi in un settore, con la dedizione fiduciosa si riesce. Focalizzatevi più sull’amare una determinata conoscenza/attività che non sul razionalizzare/ottimizzare il percorso freddamente calcolato per arrivare ad un certo traguardo (qui sarebbe opportuna una via di mezzo, v. Desigining you life, “So Good They Can’t Ignore you” e il concetto di innamorsi del processo).
Justin Sung (Imprenditore su apprendimento) – Career decision making
Affrontare questo tipo di decisioni dovrebbe essere insegnato nelle scuole superiori. Molti non passano attraverso un processo decisionale e quindi si affidano solo alle proprie passioni, su forti interessi che spesso ci attraggono solo perché vediamo le cose come dei “proxy”, dei mezzi per raggiungere altro (es.: se voglio solo essere ricco e penso che tutti i medici sono ricchi, mi iscriverò a medicina solo per scoprire che poi in realtà non mi interessa per nulla; inoltre vediamo solo aspetti parziali, magari mi piace aiutare i malati ma non reggo la vista del sangue). Inoltre gli interessi possono molto probabilmente cambiare nel tempo, quindi basarsi solo sulla passione del momento per immaginare la propria intera carriera nel corso della vita potrebbe portare a decisioni affrettate e di cui ci si potrebbe pentire. C’è un altro fattore che produce più soddisfazione nel lungo termine e che solitamente cambia molto più lentamente nel corso della propria vita ed è il senso di scopo, il fine ultimo. Un altro fattore importante da tenere in considerazione è la propria personalità (al momento, ma soprattutto immaginandoci come vogliamo che sia il nostro io in futuro, almeno per tendere verso quell’immagine, ricordando che “La perfezione non è il nostro obiettivo, ma la nostra tendenza”, come diceva il maestro Omar Youtubo Anche Io). Durante il processo di decisione, attenzione al bias di conferma: occorre essere critici e non guardare solo agli aspetti positivi che confermano che sia una decisione perfetta senza difetti. Quello che aiuta nel capire questi tre aspetti è una profonda riflessione/introspezione, sviluppare esperienza/competenze e analizzare quali sono i valori, individuando i mezzi per raggiungerli.
Ali Abdaal (imprenditore su crescita personale) – Come cercare una carriera che amiamo davvero
Basato sulla sua intervista a Grace Lordan, economista autrice di “Think Big”, identifica 7 consigli:
- Pensa al piccolo spazio: non focalizzatevi sul titolone del posto di lavoro o sul grande sistema di cui farete parte, ma sul singolo posticino che andrete a ricoprire, perrché sarà quello l’universo personale che vivrete;
- Visualizzate il vostro “Io+”: come immagino me stesso attuale + titolo di studio che vorrei prendere? Come penso me stesso attuale + titolo di posizione lavorativa che vorrei ricoprire? E così via;
- Registra il tuo tempo: solo così avrete contezza di come e quanto tempo spendete (ho già mostrato qui come tracciare il tempo, con annesso anche un foglio pronto per tracciare: Tracciamento del tempo e pianificazione – con tutorial e foglio di calcolo gratuito);
- 13 minuti al giorno: il tempo minimo da investire in direzione del nostro obiettivo, che sfrutta l’interesse composto (in breve: se ci impegniamo quotidianamente e miglioriamo ad esempio l’1% (0,01) ogni settimana, in un anno non sarò migliorato del 52%, che è moltiplicare 52×0,01, ma del (1+0,01)^52 = 0.68 che è il 68%, ed il distacco aumenta all’aumentare del tempo). Così facendo, ci si costruisce un “capitale di carriera”, sviluppando competenze molto appetibili e sfruttabili in una o più carriere (leggere “So good they can’t ingnore you” e “Deep Work”, di Cal Newport, per approfondire);
- Probabilmente non hai bisogno di tornare di nuovo all’università: salvo i casi in cui un titolo di studio è effettivamente indispensabile (es.: per poter essere iscritti all’albo dei medici ed operare) o è uno standard per entrare in alcune specifiche posizioni (potrebbe essere necessaria almeno una laurea triennale ad esempio in ingegneria, per ricoprire posizioni tecniche di responsabilità), le competenze e conoscenze possono essere acquisite in altri modi (ho già abbondantemente parlato di diversi modi per apprendere, nello specifico anche dei MOOC);
- Abbraccia le inversioni ad U: ad un certo potremmo pensare di cambiare carriera – Dan Gilbert ha tenuto un TEDx parlando anche di quanto potremmo voler cambiare molto più di quanto immaginiamo;
- La griglia decisionale: segna su un foglio i diversi tipi di carriera che potresti voler intraprendere, poi segna il punto in cui sei in questo momento: in base a possibili scelte, sposta il punto nella mappa in base a quanto si avvicina di più ad una carriera (questo ha a che fare col concetto di opzionalità caro anche a Nassim Taleb, sempre ricordando però che mantenere porte aperte è spesso un costoso e pericoloso modo di dissipare energie e di portare a paralisi decisionale, come scritto in “Predictably Irrational” e in altri libri).
Jordan Peterson (professore ordinario emerito di psicologia) – Caratteristiche personali e lavoro
Sii consapevole che una certa quantità di intelligenza è richiesta per alcune carriere ed alcune posizioni, insieme alla capacità di operare in certi contesti sociali e tollerare lo stress, soprattutto se si punta ai vertici di organizzazioni. Questo vuol dire che, anche se riesci ad ottenere una certa posizione, potresti avere delle caratteristiche tali da renderti la persona meno intelligente della stanza e sentirti a disagio per lunghissimi periodi di tempo. In maniera opposta, potrebbe esserci una cronica insoddisfazione nello svolgere mansioni troppo elementari in base alle proprie potenziali capacità: se sei il più intelligente nella stanza, probabilmente sei nella stanza sbagliata (questo mi ricorda le interminabili giornate di noia a scuola, dove il livello è solitamente impostato su studenti con abilità cognitive sotto la media, dato che il compito della scuola è in teoria quello di educare ed istruire tutti e le classi sono miste, non suddivise per QI ed impegno profuso).
La chiave è, ancora una volta, la consapevolezza non solo del mondo lì fuori, ma anche e soprattutto di noi stessi e delle nostre caratteristiche (fermo restando che il QI non si può aumentare più di tanto, come riassunto in “In the Know: Debunking 35 Myths about Human Intelligence” di Russell T. Warne, ma non necessariamente con un QI basso si è condannati ad una vita di miserie, basta trovare ciò che è più adatto alle nostre capacità).
In linea di massima: più basso il QI, più il lavoro “adeguato” diventa ripetitivo e seguendo procedure e ordini di persone più intelligenti. (Peterson accenna anche alle problematiche a carattere sociale per chi ha un quoziente intellettivo inferiore a 87, ma esaula dallo scopo di questo articolo, anche se resta il fatto che in futuro, per le professioni più intellettualmente stimolanti, potrebbe esserci una barriera d’accesso sempre più alta). Discorso simile vale, in generale, per i tratti di personalità: se ad esempio siete introversi e quasi misantropi, nulla vieta di svolgere lavori a contatto con la folla, ma magari avrete più soddisfazione e tranquillità in tipi di lavoro in cui non siete così esposti al pubblico.
Ulteriori spunti da Cal Newport