Pensiero critico e processo decisionale, un paio di riflessioni (molto) personali

Premessa: questo articolo presenta un’introduzione a forte connotazione biografica; se vuoi risparmiartela, salta direttamente alla sezione successiva (“Considerazioni attuali“). Il motivo che mi ha portato ad alcune riflessioni è dovuto alla lettura, qualche mese fa, di alcuni libri sull’argomento (in qualche caso si trattava in realtà di ri-lettura, che non fa mai male) e di qualche corso universitario (una “dipendenza”, quella dello studio, da cui sto faticosamente cercando di uscire).

In questa foto, in realtà, ne manca qualcuno che ho letto in formato digitale. Alcuni di questi libri li trovate “riassunti” (insieme a mie considerazioni) tra gli articoli di questo mio blog.


Il mio rapporto col pensiero critico è iniziato da piccolo, chiedendomi spesso perché alcune persone e gruppi si comportassero in un certo modo, alcuni oggetti funzionassero in un certo modo e così via. Ringrazio a proposito mia mamma che, come regalo di promozione di un anno scolastico quand’ero piccolo, mi ha comprato un bellissimo libro che spiegava il funzionamento di fenomeni più o meno complessi in ambito urbano e non solo (libro rivolto ad una platea di ragazzi più grandi, perché la mia genitrice sapeva quanto fossi curioso e quanto mi annoiassi tremendamente a scuola per l’eccessiva lentezza e superficialità delle nozioni trasmesse, ma purtroppo il sistema scolastico non prevedeva “scorciatoie” per bambini precoci o particolarmente dotati). Questo mi ha permesso non solo di iniziare a creare una forte “base di conoscenze” (a differenza dei miei coetanei medi che invece si interessavano principalmente di formazioni e partite delle squadre di calcio), ma di sviluppare ulteriormente una sana curiosità e capire che spesso ci sono diversi livelli di complessità anche in situazioni che consideriamo banali e che diamo per scontate, se non addirittura ignoriamo perché non ci facciamo caso (come mi ha detto tempo fa una cara amica: “vedi e analizzi cose che gli altri neppure sanno che esistono”). Allenare questa capacità mi è stata utile pochi anni dopo, sempre a scuola, soprattutto nella produzione di temi di italiano che, a volte persino in tematiche prettamente umanistiche (scelta considerata azzardata per un futuro perito tecnico), impressionavano i miei insegnanti (ne ricordo in particolare una che diceva di commuoversi seriamente ed altre due che sognavano per me una carriera da giornalista/divulgatore scientifico); quello che “faceva colpo” non era tanto la bruta capacità mnemonica, nè uno stile di scrittura particolarmente barocco, quanto piuttosto la capacità di collegare argomenti, a volte anche di attualità, in un modo che non avevano mai visto o immaginato, contestualizzando in maniera appropriata. Del resto, non avevo scelto una scuola tecnica per una limitata capacità di esprimermi in lingua italiana, anzi: una mia insegnante sperava diventassi filosofo; in un test condotto durante l’ultimo anno delle scuole medie, il profilo che si delineava per me era riassumibile in “puoi scegliere qualunque scuola, la porterai a termine brillantemente e senza troppi sforzi”; la scelta è stata semplice per 4 motivi: la scuola che permettesse un maggior approfondimento tecnologico, che fosse il “massimo locale” (nella mia zona) in quanto a preparazione matematica, che permettesse una buona preparazione per ingegneria e che, in caso di imprevisti, mi avrebbe permesso comunque un “titolo finito” adatto ad iniziare a lavorare (son sempre stato un ragazzino molto pragmatico e con la testa sulle spalle: non essendo di famiglia benestante e non avendo garanzia di borse di studio, mi son sempre preparato al caso peggiore). Nel (tanto) tempo libero dalla scuola, oltre a svolgere la normale vita di un adolescente che suona in gruppi musicali, disegna ed esce con gli amici, approfondivo alcuni argomenti tecnici o filosofici (anche se spesso mi veniva consigliato di “leggere la roba per la mia età”, mai meglio specificata, ma soprattutto di leggere meno), principalmente per piacere, senza aspettarmi alcun “ritorno d’investimento”. Ritorno che comunque è arrivato immediatamente dopo, durante le fasi concorsuali per i corsi da ufficiale in accademie militari: oltre ai temi di italiano, su traccia di attualità sorteggiata al momento, ricordo in particolare una prova di esposizione in pubblico (perché il “public speaking” è quasi una costante per tutta la vita di un ufficiale) che consisteva nel sorteggiare una traccia e, in 15 minuti, seduto tra gli altri, senza poter consultare assolutamente nulla, prepararsi dei punti da discutere davanti alla commissione giudicatrice e ai numerosi altri candidati (già scremati dalle prove precedenti), pronti anche a ricevere eventuali domande. Una volta entrato poi in un’accademia, ricordo in particolare una prova obbligatoria (sì, come ci ripetevano spesso: “le prove non sono assolutamente finite con il concorso per entrare!”, infatti nel mio gruppo al secondo anno ci arrivammo in metà rispetto al numero dei selezionati per l’ingresso); tale prova, da svolgersi da soli davanti ad un comandante, consisteva nell’esposizione, in lingua inglese, di un argomento che veniva assegnato su una situazione geopolitica estremamente specifica (ad esempio: la politica estera e gli scambi in merito ad uno specifico gruppo di risorse di una certa nazione di un altro continente) con un adeguato livello di dettaglio, evoluzione storica, impatto nel presente e presentazione di possibili scenari futuri. In caso di supercazzole o anche solo di pronuncia errata di un termine specifico in inglese, si veniva puniti con l’impossibilità di uscire per una settimana, oltre all’onta d’aver fallito. Nelle due settimane per prepararsi (ed erano tempi in cui non si trovava tutto su Internet), certamente aiutava molto sia una conoscenza di base di alcuni meccanismi, sia la capacità di pensiero critico per poter ipotizzare scenari futuri plausibili.
Tutte queste prove non erano fini a loro stesse, ma erano parte dell’addestramento che sarebbe servito al termine dell’accademia: una volta giunti alla propria “destinazione” (in una qualunque zona d’Italia o all’estero), era imprescindibile la capacità di aggiornarsi bene in breve tempo, saper decidere velocemente e comunicare a collaboratori, colleghi e superiori. Del resto, sono alcuni dei tratti valutati spesso nelle “note caratteristiche” di un militare – riporto di seguito un piccolo estratto di quelle attualmente in vigore, dal 2010:

Son stati diversi i casi reali in cui il pensiero critico ha salvato il c. (diciamo “cuore”) a me e al personale a me assegnato (e non), oltre ad aver evitato il danneggiamento dei mezzi di cui ero responsabile. In molti casi, si trattava di decisioni “sub-ottime”, con le informazioni ed il tempo a disposizione.
A prescindere dalle decisioni prese e dai risultati conseguenti, ho subito imparato che era assolutamente importante saper descrivere e motivare/giustificare in seguito il processo decisionale intrapreso; come nel film “Sully” (con Tom Hanks diretto da Clint Eastwood, basato sulla reale storia dell’ammaraggio di un volo nel fiume), spesso ci si può dover trovare a difendere una propria decisione anche quando non ci sono effetti su vite umane – in quel caso specifico, perché c’è stata la perdita di un velivolo, ma a volte è sufficiente aver esposto a rischi il personale e i mezzi per far partire indagini. Del resto, nel mondo militare (e da un po’ anche nel mondo aziendale, che da decenni copia quanto avviene nella difesa), a termine di operazioni, si effettuano “debriefing” in cui si rivedono i punti salienti, in cerca di lezioni identificate/apprese e continuo miglioramento. Son sempre stato in grado di dimostrare che le mie non erano azioni avventate e irrazionali sulla base dell’impeto del momento, ma frutto di preparazione precedente e di veloci considerazioni (anche se probabilmente non perfette, a causa delle risorse limitate), potenzialmente “scelte ripetibili”, non affidate al caso. A volte si trattava di scegliere quali sistemi mantenere attivi in caso di alimentazione limitata o di operatività degradata, a volte si trattava di gestione priorità in caso di incendi ed altri eventi, altre volte si trattava di disporre quali risorse allocare, in quale ordine e su quali obiettivi, altre volte quali limitati componenti di riserva scegliere durante l’approntamento per una missione; ci sono altre tipologie di esempi reali accaduti che non posso scrivere, ma forse meglio così: l’elenco potrebbe altrimenti continuare per diversi minuti. Fortunatamente, ho spesso potuto contare su competenti collaboratori fidati e su superiori che riponevano in me la massima fiducia (che mi son dovuto guadagnare proprio dimostrando, col tempo, che le mie erano considerazioni tecniche e probabilistiche che tenevano conto della visione d’insieme e di “effetti di secondo ordine”).
Queste capacità son state poi consolidate/”ripassate” anche durante un master universitario in cui, oltre agli ovvi argomenti di geopolitica e strategia necessari per un comandante, c’erano moduli che richiamavano concetti che avevo già studiato inizialmente a scuola/accademia/università e poi approfondito per conto mio negli anni.
Soprattutto nell’ultima parte della mia carriera al servizio di una nazione, quando ho avuto a che fare con scenari sensibili ed in rapidissima evoluzione, il pensiero critico e la capacità di decidere sono stati fondamentali, direi che hanno costituito metaforicamente, rispettivamente, la lanterna per poter illuminare l’ambiente esterno in cui mi inoltravo e la bussola per poter mantenere degli importanti riferimenti ed uscirne, man mano che costruivo ed aggiornavo mappe.
Con lo studio, l’esercizio e l’esperienza, si impara a regolarsi con i propri “sistema 1 e sistema 2”, a volte è possibile sviluppare, in maniera totalmente consapevole o meno, delle euristiche personali per poter testare a campione alcuni aspetti suggeriti nella fretta dal sistema 1, utilizzando mentalmente delle specie di “sentinelle” come i canarini utilizzati un tempo nelle miniere, dei controlli veloci per essere ragionevolmente sicuri di non star prendendo scorciatoie pericolose del pensiero.

Considerazioni attuali

Quelle che seguono sono considerazioni generali che ho elaborato nel tempo, guardandomi intorno soprattutto dopo che ho deciso di lasciare l’uniforme (e trasferirmi all’estero), cercando di capire come “i civili” (le persone che non indossano le stellette, ora anche io tra di loro) interpretano, valutano e reagiscono alla realtà.

Le condizioni che ho descritto precedentemente, soprattutto in contesti operativi, erano caratterizzate da un tempo estremamente limitato, l’equivalente di trovarsi al volante di un’auto sportiva in corsa e dover decidere con un navigatore GPS dotato di mappe parziali, ma la realtà per la maggior parte delle persone e per la quasi totalità della nostra vita è, fortunatamente, molto più rilassata. Premesso che la vita umana è comunque, almeno al momento, ancora limitata (ne ho scritto in Our limited time), considerato soprattutto che non tutti intendono spendere un’intera esistenza ad approfondire ogni singolo argomento, mi rendo conto che comunque ad un certo punto si decide di tagliare la ricerca di informazioni e la conseguente elaborazione necessaria per comprendere e per eventualmente formarsi un’opinione su un argomento più o meno complesso. Questo non toglie che, a prescindere dalla singola notizia acquisita, servono tempo, distacco, energia, capacità di ricercare e discriminare fonti, ma soprattutto capire: una delle più grandi illusioni del nostro tempo è pensare che chiunque possa capire dati e grafici, paradossalmente proprio nell’era in cui è noto quanto sia diffuso l’analfabetismo funzionale anche grave, soprattutto in Italia; del resto, salvo rarissimi casi fortunati, non si “impara ad imparare” nè in famiglia nè a scuola, quando va bene si impara a tentativi ed errori come memorizzare nozioni. Serve formarsi sia una conoscenza di base (quella che è nota come “cultura generale”, di fatti di rilevanza storico-geopolitica, ma anche di base di scienze, “dure” e “molli”), sia la capacità di aggiornarsi sulla realtà, ma in maniera strutturata e puntuale, contrastando il populismo che ci riempie passivamente (o ci spinge morbosamente in cerca) di foto/icone o che ci fomenta a focalizzarci esclusivamente sulla capacità dialettica da venditore di ideologie da parte dei vari personaggi presenti su social network e mezzi tradizionali. Servono strumenti, non soltanto nozioni (alcune comunque fondamentali), che ci diano la possibilità di applicare pensiero critico, per poter capire situazioni dentro e fuori di noi.
Nella società del tutto e subito, tutti sentono l’urgenza di tifare la propria squadra politica preferita, solitamente anche in un pacchetto monoblocco preconfezionato da accettare in toto (ad esempio: sei di sinistra, accetti tutti i punti di vista relativi a tutti gli ambiti personali e sociali, come essere vegano, animalista, ambientalista, simpatizzante di omosessuali, trans, immigrati, minoranze; sei di destra, allora difendi a spada tratta solo la famiglia tradizionale, ti schieri a favore di alcune corporazioni, sostieni il pugno duro verso chi non rispetta le regole e cerca di invadere i tuoi spazi e così via), senza poter fare un minimo distinguo di casistiche e vedendo tutto in risoluzione 1 bit; tutti avvertono il dovere di esprimere la propria inutile opinione, gente semianalfabeta che si fionda a scrivere roba insensata e piena d’odio o meno, salvo poi dimenticare tutto la settimana successiva, quando un altro evento richiama l’attenzione. Decidendo che questa è la settimana in cui siamo esperti di virologia ed epidemiologia, pur non sapendo la differenza tra virus e batteri (e preferisco evitare di ricordare la sicumera imbarazzante di professionisti e di politici che hanno ostentato assoluta certezza in ambiti di novità ed estrema imprevedibilità); la settimana seguente siamo chiamati ad avere idee forti, senza il minimo dubbio, su conflitti in terra ex-sovietica ed in medio-oriente, nonostante non sappiamo indicare sulla cartina neppure le nazioni confinanti con quella in cui viviamo – qui un esempio di piloti di Formula Uno che non identificano neppure le nazioni in cui hanno gareggiato, senza contare i cittadini degli Stati Uniti d’America che hanno tirato ad indovinare dove fossero l’Iran e l’Ucraina:

Sì, ci sono elettori statunitensi che pensano che l’Ucraina, che veniva mostrata e citata di continuo dopo il recente attacco russo, si trovi a nord dell’Islanda o in nord Africa. E che l’Iran sia parte dell’arcipelago britannico o in Spagna. – Fonte: Morning Star, link(s) nella riga precedente sulle parole Iran e Ucraina

E, tra un’emergenza e l’altra, restano comunque i classici argomenti da bar, parlando di ingiusta distribuzione di ricchezza senza aver mai sentito parlare di coefficiente di Gini, blaterando a caso di riforme ed in generale di qualunque argomento, senza non solo l’esperienza per poterne parlare, ma senza neppure la voglia di andare a leggere le basi e delle notizie affidabili sull’argomento. Onestamente, non sono molto fiducioso guardando “alla massa”, son sempre più convinto che, anziché ridursi, il divario tra (le poche) persone sveglie in grado di ragionare e decidere e persone passive che passano la vita a scorrere idiozie ed esprimere giudizi da far vergognare un bambino di seconda elementare tenderà ad aumentare. L’unica speranza è che i saggi del primo gruppo almeno cooperino tra loro, come nella parabola dei ciechi e l’elefante, per poter riuscire ad interpretare la realtà che cambia e magari costruire un mondo più razionale.

Statua raffigurante la nota parabola dei ciechi e l’elefante, da me fotografata nel grande parco Rheinaue di Bonn

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(In aggiornamento)

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