Era da un po’ di tempo che desideravo prendermi un po’ di tempo per riflettere su questo argomento.
L’occasione è arrivata quando Alessandro de Concini (noto come “ADC”) ha pubblicato un corso in merito all’apprendimento delle lingue, di cui sarà disponibile anche una mia brevissima recensione a caldo, nella parte finale di questo post.
Quello di cui tratto qui è, in linea di massima, l’aspetto dell’apprendimento ed utilizzo di lingue non da specialisti della materia, ma da “profani” non esperti di linguistica, dove la lingua straniera può essere vista come un “asset” extra da aggiugnere alle altre competenze oppure come hobby. In un mondo in cui si esaltano gli iper-specialisti, io trovo ancora molto valore in chi si sviluppa in più dimensioni: consiglio a tal proposito il libro “Range” di David Epstein. Personalmente, penso sia più interessante l’utilizzo di lingue da parte chi ha un vissuto e delle competenze diverse rispetto a chi ad esempio ha seguito un percorso “più lineare e monodimensionale”, come chi ad esempio ha frequentato liceo classico e lettere oppure liceo linguistico e poi facoltà di lingue: tendenzialmente, trovo più affascinanti le persone che hanno non una “T shape” o una “M shape”, ma un set di competenze ed interessi trasversali, anche se è sempre più raro imbattersi in personaggi eclettici, in quello che viene definito “l’essere umano universale” come lo era Leonardo da Vinci ai suoi tempi. Questo ha anche dei risvolti pratici: salvo casi molto verticali e specifici, come diventare traduttori professionisti, potrebbe essere più pagante (in diversi sensi) affiancare lo studio di una lingua ad un altro percorso. Altrimenti la sola compenteza della lingua rischia di essere poco rilevante: immagina di cercare lavoro in Cina perchè hai imparato benissimo la lingua cinese, ma è la tua unica competenza: probabilmente, gli imprenditori di quelle parti potrebbero legittimamente rispondere: “Qui di persone madrelingua cinese che parlano una lingua occidentale ne ho milioni, lo considero la base di partenza, tu cos’altro sai fare?”
Mia breve storia
Capitolo opzionale e tranquillamente “skippabile” (“zompabile”) se non siete interessati ai fatti miei 🙂
Come per la maggior parte dei ragazzi italiani cresciuti in contesti non molto cosmopoliti, il mio impatto con le lingue straniere è iniziato alle elementari, con una maestra di altre materie (quindi non specificatamente di lingue) che per fortuna non solo conosceva una lingua straniera, ma aveva reale passione per l’insegnamento (poiché nell’istruzione italiana, come per la gran parte del servizio pubblico, le iniziative lodevoli son quasi sempre dovute allo sforzo dei singoli, gratuito e a volte anche osteggiato dalle istituzioni); questa brava maestra ci ha quindi insegnato le basi di una lingua straniera (grazie maestra M.). Alle scuole medie, ho iniziato ad imparare l’inglese, che i miei compagni di scuola già un po’ masticavano dalle elementari, materia che mi ha accompagnato ovviamente fino al diploma delle superiori, con il livello di intensità e di serietà che penso si possa trovare nella maggior parte delle scuole italiane e che spiega il vergognoso stato di (in)comprensione della lingua da parte della maggioranza della popolazione italica, così fieramente ignorante in tutto ciò che non è cultura umanistica italiana ed eventualmente lingue morte. Son stato comunque abbastanza fortunato da potermi permettere brevi vacanze studio all’estero per imparare l’inglese e vedere un po’ la cultura oltre il canale della Manica. Come ho fatto quindi ad imparare la lingua inglese? La risposta è la stessa che vale per la maggior parte dei miei studi: da autodidatta. Di seguito, un reperto di quel periodo:
Sì: ho imparato la lingua inglese principalmente ascoltando musica in quella lingua e studiandone i testi, principalmente rock e metal. Imparavo a memoria il suono delle parole, anche se a volte distorte e in accenti non standard, mentre vedevo le parole, con testo tradotto grossolanamente in italiano per capirne il significato.
Ho imparato così a memoria l’intera discografia dei Queen, oltre a diversi album di famosi cantanti e gruppi. Del resto, era anche più facile capire quando suonare un certo assolo di chitarra riconoscendo le parole anziché contare a mente il numero di battute.
Entrando poi in un’accademia militare, ho perfezionato l’inglese tecnico (sia quello specifico militare, sia quello necessario per ingegneria) e la pronuncia; non sono mancate occasioni per praticarlo, in ambito NATO e non. In quel periodo, ho anche iniziato l’esposizione a diverse lingue, imparando almeno una decina di parole per ogni nazione in cui ero inviato o dove mi recavo anche per diletto. A differenza degli stolti che si divertono ad imparare principalmente un vocabolario scurrile nelle lingue straniere, la mia scelta di parole da memorizzare ricadeva su: sì, no, grazie, prego, scusi, acqua, cibo (ed un paio di brevi frasi galanti, altro che parolacce). Ho visitato decine di nazioni, di aneddoti legati alle lingue ce ne sarebbero… ma non è l’obiettivo di questo post.
Durante i lunghi anni di servizio in uniforme, la conoscenza anche solo elementare di alcune lingue è stato uno strumento utile per capire a grandi linee quello di cui parlavano alcune fonti particolari nel settore di cui mi occupavo, anche se ovviamente la mia era una scrematura velocissima su una grande mole di dati che (per motivi che non sto qui a spiegare) non potevano essere tradotti simultaneamente in lingue a me ben note come l’inglese. Ovviamente, nei casi in cui era richiesto, c’erano collaboratori il cui livello di conoscenza era avanzato al punto di sapere riconoscere diversi dialetti di una lingua, fattore decisivo sia per interpretare i modi di dire sia per stimare la possibile provenienza della fonte – come detto all’inizio, questo è i caso specifico di chi dedica la maggior parte del suo tempo all’apprendimento di lingue, non è il mio caso.
La conoscenza di lingue straniere, unitamente a competenze tecniche specifiche, mi ha permesso di andarmene velocemente nel momento in cui ho deciso di lasciare l’uniforme e, con essa, la nazione che ho servito per tantissimi anni, in cui non mi trovavo più bene. Ho già scritto in merito al processo decisionale che mi ha portato a scegliere dove andare, ad esempio in Sono qui per RESTARE! (O no?), Designing Your Life: Build a Life that Works for You (with interactive mind map!) ed altri.
Di recente, riguadagnando il tempo libero che non avevo più nella vita precedente, ho preso ad ampliare e ripassare un po’ di lingue, oltre ad approfondire alcuni meccanismi relativi all’apprendimento.
Molto più del comprendere e sapersi esprimere
Fino a pochi decenni fa, il saper parlare una lingua straniera veniva visto o come obbligo, per gli emigrati spesso semianalfabeti ed impiegati in lavori di fatica, come gli uomini italiani impiegati in miniere o nei settori di costruzioni e trasporti, oppure come opportunità per chi invece poteva scegliere anche lavori meno fisici e più remunerati; di entrambe le casistiche, è possibile osservare diversi film dell’epoca, memorabili ad esempio le scene di Alberto Sordi che parla inglese. Chiaramente la lingua viene vista come vettore per scambiare informazioni, in forma orale e scritta, ma c’è ben altro dietro, senza necessariamente andare a vedere differenze antropologiche in popolazioni remote, in cui ci si esprime orientandosi con i punti cardinali o con diverse percezioni di individui e gruppi.
Ciò che mi affascina, oltre alla lingua in sè (cercando analogie e differenze in strutture, etimologia, pronuncia, modi di dire nelle diverse civiltà e così via), sono i meccanismi cognitivi a partire dall’età evolutiva, termine che in realtà io non applico solo ad infanzia ed adolescenza, perché dal mio punto di vista ci si continua ad evolvere fino a quando si ha ancora voglia di mantenere il cervello acceso, nel capire noi stessi e il mondo esterno – ho scritto diverse volte in merito alla consapevolezza e già citato che la vita non esaminata non è degna d’essere vissuta.
Oltre a studiare i meccanismi alla base dell’apprendimento generale, con tutti i libri e corsi che ho macinato nel tempo, mi son anche focalizzato proprio sugli aspetti relativi alle lingue, ad esempio con i corsi: “Neurolinguistics” dell’università di San Pietroburgo e “Children Acquiring Literacy Naturally” dell’università della California.
Non scriverò qui in merito ad afasia, aree di Broca e Wernicke o altri aspetti tecnici che riguardano il normale funzionamento del cervello e la conoscenza derivante dall’analisi di persone affette da specifiche problematiche – nè sui processi relativi a codifica, memorizzazione e richiamo informazioni, per quello potete trovare un riassuntazzo nella mia mappa in (Understand our) Memory.
Mentre il primo corso è molto tecnico, il secondo è un corso che consiglierei a tutti, non solo a neogenitori e personale coinvolto a vario titolo nella formazione ed educazione di bambini in età pre-scolare – il corso è tenuto dal prof. Dominic William Massaro che, dopo il dottorato in psicologia matematica (la stessa branca in cui era specializzato il compianto Amos Tversky), ha sviluppato modelli di percezione e tecniche per facilitare l’apprendimento della lingua da parte di persone con problematica legate ad esempio a sordità e autismo. Tendiamo un po’ tutti a dare per scontati alcuni processi ed in una certa misura è un bene: se un bambino dovesse fermarsi troppo a riflettere sui meccanismi coinvolti nel corpo e nel mondo circostante, probabilmente impiegherebbe diversi anni prima di imparare a camminare, parlare, andare in bicicletta. E un adulto non potrebbe compiere le attività che normalmente svolge durante l’arco di una vita o di una singola giornata, giacchè anche solo lo studio di un singolo respiro richiederebbe settimane o anni di studio per essere compreso in ogni dettaglio (del resto, ho già scritto che viviamo in un continuo compromesso in cui dobbiamo selezionare ciò che vogliamo davvero approfondire, v. Perché siamo così superficiali?). Proprio per questo, ricercatori e professori in molti settori svolgono un compito preziosissimo, aumentando la conoscenza umana di qualche epsilon per volta – a volte si avanza in stile kaizen, a volte scoperte e invenzioni sono “disruptive”, a volte si scopre che c’eravamo sbagliati, è comunque progresso anche quello: siamo contenti, credo, che alcune pratiche mediche considerate all’avanguardia come il salasso e la lobotomia non siano più praticate estensivamente, grazie all’avanzamento della conoscenza medica. Breve digressione terminata, mi si permetta qualche parola sul corso dell’università della California che tratta appunto, tra l’altro, anche di parole.
I bambini iniziano a capire il linguaggio verso l’anno di età, a volte aiutati dalle modulazioni note in gergo come “motherese” (per approfondire in merito allo sviluppo dei bambini, consiglio il mio riassuntazzo sul corso Think of the children (development)) ed iniziano a provare a parlare solitamente subito dopo, nel noto gioco, affinato nell’evoluzione, del “guarda e ripeti”, anche se non è ancora ben chiaro il ruolo dei neuroni specchio durante il parlato, come non è chiaro se i bambini piccoli discriminano meglio i suoni se associati a significati. Diversi studiosi, come i coniugi Chomsky, hanno messo in discussione vecchi assunti che portano a credere che il linguaggio orale sia naturale e quello scritto invece artificiale – degni di nota, tra i tanti, gli studi sul linguaggio dei segni e sul metodo Tadoma. Gli studi non sono così semplici da “astrarre” se si pensa che si stimano 5-7.000 lingue correntemente parlate, inclusi oltre 125 linguaggi dei segni, per arrivare ad una stima di mezzo milione di lingue parlate nel corso della storia.
A differenza dell’immagine che molti di noi ricordano delle elementari e medie, in cui la propria lingua madre (ed eventualmente una lingua straniera) viene insegnata come un insieme di regole grammaticali, esistono anche modi più efficaci e piacevoli di imparare a leggere e scrivere, al punto di poter permettere anche a bambini molto piccoli di prendere confidenza con i simboli grafici relativi ad un linguaggio – come ripeto spesso citando il Gen. Robert Baden-Powell, fondatore del movimento scout: “Tutto col gioco, niente per gioco”. Nel corso vengono infatti mostrati metodi per aiutare gli infanti a far pratica con le parole scritte, ne è un esempio il metodo “Chineasy”:
Nel caso in cui non si abbia a che fare con ideogrammi, è comunque possibile scrivere le parole sopra gli oggetti in un disegno o in una foto, per far prendere dimestichezza con l’alfabeto. Il meccanismo è valido ad ogni età: anche bambini di tre mesi possono associare simboli a risposte, come ad esempio capire che certi simboli sono associati a suoni e luci (piccolo parere non richiesto, a proposito: un bambino dell’asilo che sa utilizzare un’applicazione su uno smartphone non indica che sia particolarmente sveglio, è che le maggior parte delle app che utilizziamo sono disegnate a prova di bambino idiota, in cui basta pigiare una sequenza di simboli colorati, fate un favore a voi e a loro: togliete i dispositivi elettronici dalla portata dei bambini). Ho regalato un giochino (rigorosamente NON elettronico) ad un infante di due anni di età, ho visto che era perfettamente capace, dopo esser stato guidato inizialmente, di continuare in totale autonomia il collegamento, a puzzle, di parole, con iniziale evidenziata e su un altro tassello. Terminato il gioco, ha prontamente ripetuto lo stesso da principio, senza alcun ausilio esterno. Sicuramente non mi aspetto che il giorno dopo sia in grado di leggere un libro, ma ha acquisito familiarità con le forme delle lettere relative alle parole associate.
A proposito di libri: si son osservate correlazioni tra l’abilità di leggere durante l’infanzia e lo status socioeconomico da adulti, anche se qui ricadiamo nelle solite difficoltà in cui a sistema entrano il QI del nascituro, quello dei genitori, le condizioni di partenza e tanto altro, ma resta il collegamento tra abilità ed esercizio della lettura in giovane età e “successo” da grandi.
Il corso fornisce diversi spunti, ma quello che ho trovato al contempo più “ovvio” e meno osservato è quello sui libri per bambini: netti miglioramenti si osservano quando si incoraggia il bambino a guardare libri che mostrano parole scritte in grande anziché solo enormi disegni e scritte piccolissime per gli adulti, quindi l’ideale sarebbero libri per bambini in cui, mentre il genitore/educatore/tutore legge, il bambino può guardare alcune parole scritte in grande per descrivere gli oggetti.
Purtroppo, nonostante Heckman (premio Nobel per l’economia) abbia suggerito che l’impatto in termini di ritorno di investimento su capitale umano è decrescente col tempo, sottolineando quindi l’importanza di investire maggiormente nell’età pre-scolare e scolare, rispetto all’età adulta, la maggior parte delle società nel mondo continua a focalizzarsi quando è già relativamente troppo tardi. Certo che è possibile imparare a tutte le età ed è anzi incoraggiato, come scritto anche da Beau Lotto in “Deviate”: è stato dimostrato che parlare due lingue quotidianamente può ritardare l’insorgenza di demenza (lo vedremo tra poco tra i benefici dell’imparare e praticare lingue straniere). Se però si ha possibilità di iniziare subito, meglio non aspettare. Come dice un noto detto orientale: il miglior tempo per piantare un albero era tanti anni fa, il secondo momento migliore è adesso.
Benefici lingue sul cervello
Di seguito, alcuni benefici osservati (da studi che riporto in calce a questo post) durante l’apprendimento e l’esercizio di una lingua straniera. Importante notare, soprattutto per i perfezionisti, che questi incredibili vantaggi si manifestano anche senza raggiungere la piena padronanza della lingua. Per i più pignoli: molti studi non sono di “scienza dura”, quindi riconosco possano essere sollevati dubbi come quelli espressi di recente da Sabine Hossenfelder nel suo video “Science is in trouble and it worries me” e conosco bene i vari problemi che affligono molti studi in ambito cognitivo (e non solo), ma restano comunque validi per capire almeno a grandi linee come funzioniamo nei diversi contesti.
Miglioramento delle funzioni cognitive
- Mantenimento delle capacità cognitive indipendentemente dall’età;
- Miglioramento della memoria e del controllo cognitivo: Stimola la memoria, la ritenzione e il senso di controllo cognitivo;
- Miglioramento della cognizione globale, verificato in anziani dopo un corso di 4 mesi di inglese.
Cambiamenti cerebrali
- Aumentata connettività funzionale in specifiche aree cerebrali dopo l’apprendimento linguistico;
- Possibile aumento del volume dell’ippocampo, che a sua volta sembra favorire l’apprendimento del vocabolario in età avanzata.
Benefici psicologici e sociali
- Soddisfazione personale, la gioia dell’apprendimento continuo;
- Senso di appartenenza e nuove opportunità sociali, favorendo l’integrazione in una comunità di apprendimento o nella comunità straniera se si vive in un contesto dove si parla una lingua diversa dalla propria;
- Benessere emotivo e benessere complessivo.
Ritardo del declino cognitivo
- Potenziale ritardo dell’insorgenza di demenza, ad esempio il bilinguismo può ritardare l’insorgenza di demenza di circa 4-5 anni.
Ha davvero senso imparare lingue straniere oggi?
La domanda in sè potrebbe sembrare ironica, banale o provocatoria, ma non è così scontato rispondere se non si riflette un momento. Infatti, l’obiezione più immediata e comune è la stessa che ogni giovanissimo studente svogliato risponde in merito all’apprendimento in generale: a cosa mi serve imparare qualcosa quando esisto strumenti che permettono di risparmiare fatica all’essere umano? Come imparare geografia ha ancora un senso nell’epoca di mappe/navigatori e come imparare a suonare uno strumento continua ad essere sensato in un’epoca in cui altoparlanti e musica sono disponibili quasi ovunque, la conoscenza delle lingue ha ancora motivo d’esistere anche nell’era dei traduttori automatici a portata di tasca.
- Benefici cognitivi (oltre a quelli già visti in dettaglio)
- Miglioramento delle prestazioni mentali, stimolando il cervello a riconoscere e interiorizzare nuovi schemi, sviluppando capacità cognitive come il pensiero critico e la risoluzione dei problemi.
- Vantaggi personali e professionali
- Aumento dell’autostima: padroneggiare una nuova lingua aumenta la fiducia in se stessi e il coraggio nell’affrontare nuove sfide. E, per dirla come Steve Kaufmann a 52:38 intervistato da ADC, un “senso di potere”;
- Migliori opportunità di carriera: le aziende valorizzano sempre più i dipendenti con competenze linguistiche, oltre a poter permettere di emigrare allargando notevolmente le proprie possibilità lavorative;
- Miglioramento delle capacità di “networking”: conoscere altre lingue e culture rende più flessibili e migliora la comunicazione in un mondo globalizzato
- Benefici culturali e sociali
- Immersione in nuove culture, soprattutto se si studia all’estero per lunghi periodi, ma anche semplicemente studiando culture e stile di vita di una popolazione diversa dalla propria;
- Miglioramento delle capacità di ascolto e comunicazione;
- Ampliamento degli orizzonti, favorendo la creatività e migliorando la comunicazione con il resto del mondo. Detto in altri termini, aiuta a costruire ponti anziché muri.
Inoltre:
- Conoscere una lingua permette di fruire della bellezza delle opere in lingua originale, che altrimenti sono soggette al fenomeno di “lost in translation” (vale per libri, poesie, film e tanto altro). Consiglio a tal proposito un recente video di Svevo Moltrasio, “Film doppiati vs versione originale coi sottotitoli“.
- Varie ed eventuali, tra cui ricordo anche aver colto l’occasione di un “upgrade” a posto più spazioso in aereo dopo che personale di una compagnia aerea di bandiera mi aveva chiesto se fossi in grado di eseguire eventuali ordini di emergenza in lingua straniera, ma di esempi potrei farne tantissimi, anche solo entrare in sintonia con una persona di un’altra nazionalità, che sia un collega di lavoro o che sia qualcuno a cui chiediamo un’informazione in una terra straniera.
Quali lingue
Appurato che quindi imparare lingue straniere porta diversi benefici, quale lingua scegliere tra le migliaia possibili? Nel tempo, ho pensato a diversi possibili approcci, che provo qui a riassumere:
- Massimalista generico: si possono scegliere lingue genericamente più utilizzate, sulla base di popolazione che la parla come prima/seconda lingua o per estensione geografica. Che si tratti di lingua parlata nativamente come madre lingua, oppure come lingua parlata anche come lingua straniera, le prime quattro della lista, al momento, sembrano essere: inglese, cinese mandarino, spagnolo e hindi (puoi vedere le altre ad esempio da queste due pagine di Wikipedia: Lingue per numero totale di parlanti e Lingue per numero di madrelingua. Un passo ulteriore potrebbe essere quello di seguire quale lingua ci si aspetta possa avere un’immediata espansione, ma tenendo presente che non sempre le previsioni sono corrette: fino a non molto tempo fa, buona parte degli italiani era convinta che la lingua “del futuro” sarebbe stata il francese, ma ha vinto l’inglese (tra l’altro, generalmente più semplice). Questo approccio consente ad esempio di massimizzare, a livello puramente numerico, la possibilità di interagire con il maggior numero di persone ed opere possibili, ma non è detto che ci interessi massimizzare questa funzione generica, potremmo essere interessati in casi che si discostano anche molto dall’utilizzo generico medio, quindi:
- Specifico nel settore o nell’area geografica di interesse: a differenza dell’approccio generico precedente, mi focalizzo su specifiche categorie di interesse (lavorativo o personale) e/o su specifiche zone del mondo. Ad esempio, se sono interessato alla fruizione di contenuti tecnici avanzati in Europa, la scelta potrebbe ricadere sul tedesco (che tra l’altro mi rende intellegibile anche qualche altra lingua sempre in nazioni a forte trazione tecnologica/tecnica); se mi interessano l’enogastronomia e la moda, posso considerare spagnolo e francese. Se per lavoro o per piacere mi interessano le zone del centroamerica (perchè ad esempio mi occupo di vendite/esportazione in quel mercato o perché desidero viaggiare spesso in quei posti), mi serviranno lingue neolatine e così via. Consiglierei in tal caso di guardare anche un po’ all’immediato futuro, secondo una possibile evoluzione geopolitica soprattutto nei settori di interesse, per provare ad anticipare quali lingue saranno “più utili” (per noi), magari aiutandosi un po’ anche con i chatbot, purché si ricorra a fonti specifiche potenzialmente affidabili.
- Puro interesse: potrei voler approfondire aspetti di una certa cultura, di cui la lingua è una componente importante. (es.: manga quindi giapponese, romanzi russi, ecc…) o anche solo per curiosità e sfida. Evito di dilungarmi con esempi.
- Massimo rendimento minimo sforzo: qui il concetto è quello della prossimità di una lingua straniera rispetto ad una che già consociamo bene. Se conosciamo l’italiano, probabilmente altre lingue romanze come spagnolo, portoghese, francese o sardo (eja, “sa limba sarda” è una lingua) saranno più semplici da imparare, in quanto già intellegibili ed intuibili senza troppo studio, rispetto ad esempio a lingue germaniche o baltiche. Alcuni possono inoltre percepire uno scoglio iniziale quello di imparare un altro alfabeto diverso da quello latino (ad esempio: greco o cirillico), per non parlare di sistemi completamente diversi, come quelli basati su ideogrammi. Ad esempio, la lingua giapponese usa 3 diversi alfabeti e non è così raro trovarli tutti insieme nella stessa frase (detto molto grossolanamente: si può trovare quello tradizionale per indicare la radice del verbo, insieme ad un altro per la sua declinazione ed un altro ancora se nella frase compaiono parola “adattate” da vocaboli stranieri). A questo vanno aggiunte difficoltà grammaticali, come quelle derivanti dall’utilizzo di “casi”, che possono modificare sostantivi, aggettivi o articoli in base alla funzione ricoperta nella frase, ad esempio in tedesco “l’automobile” diventa “das Auto”, ma viaggiare “(con) l’automobile” si traduce come “(mit) dem Auto”; in russo, la ragazza si chiama “девушка”, ma dare qualcosa alla ragazza diventa dare qualcosa alla “девушке”. Per non parlare poi della pronuncia, come sa chi ha provato ad imparare il cinese, dove una stessa parola composta da una sillaba può stravolgere il significato se pronunciata in maniera leggermente diversa con un accento che “sale”, “scende”, “scende e sale” o “rimane stazionario” (mi si perdoni la brutale semplificazione).
Uno degli aspetti che ho notato imparando diverse lingue è che a volte ci si può confondere parlando due lingue molto simili (una volta ho risposto “obrigado”, che è portoghese, ad uno spagnolo che invece giustamente si aspettava “gracias”), ma che diventa più semplice riconoscere/intuire parole nuove anche di lingue normalmente più distanti, a patto di esercitarsi mantenendo una mente elastica, come ad esempio la “велосипед” (“velocipied”) altro non è che il “velocipede” (nome che veniva dato in italiano alle biciclette con ruota anteriore più grande e con sistema di pedalata ad essa solidale) o “vélo” in francese (utilizzato anche in alcuni dialetti tedeschi, che altrimenti usano un per noi meno familiare “Fahrrad”). Lo stesso può accadere per un tedesco che comprende facilmente il russo pronunciare “Рюкзак” (“riucsac”) riferendosi a quello che lui chiama “Rucksack” (zaino). Un sardo noterà la somiglianza del russo “дом” (“dom”) con la sua “domo”, che infatti è la casa (dal latino domus, che in italiano ancora vediamo ad esempio in sostantivi, aggettivi e verbi come “duomo”, “domestico” o “addomesticare”). Trovo interessante anche notare come certe lingue attribuiscano ad alcune attività concetti molto diversi, ad esempio al lavoro il concetto di fatica/dolore (“travagliare”, come in dialetti italiani di sud e isole, come anche in Francia e Spagna, ma non è molto diverso dal “faticare” usato in diverse zone d’Italia) oppure quello più edificante di fare/produrre (“schaffen” usato in alcune zone germanofone), mentre chi ha il vero “mindset di successo” apprezzerà pronunciare lavoro “lucru” come in romeno! Apprendere lingue straniere nasconde anche fantastici momenti di scoperta, come quando ho visto magicamente spuntare nomi di personaggi di Dragon Ball come nomi di oggetti comuni in frasi giapponesi! (Non specifico altro, lascio anche agli altri la gioia della scoperta). Potrà sembrare infantile, ma provo uno strano sentimento di gioia misto familiarità quasi ogni volta in cui noto queste somiglianze, come trovo anche interessanti alcuni “false friend” (parole o frasi che sembrano voler dire qualcosa che conosciamo, ma che possono voler dire tutt’altro, come “fart” che in lingue scandinave, similmente al concetto tedesco “fahrt” per il viaggio, vuol dire velocità, ma che un inglese può erroneamente interpretare come… qualcos’altro di veloce), peccato non avere a disposizione centinaia di ore al giorno per poter approfondire radici etimologiche ed evoluzioni che hanno portato a similitudini e differenze!
Strumenti per imparare
Qui potrei citare tantissimi metodi, tra corsi, libri, applicazioni, video disponibili pubblicamente e gratuitamente su piattaforme video e tanto altro. Soprattutto per le lingue più diffuse, c’è davvero tanto di quel materiale che non basterebbero n vite per consumare tutti i contenuti: spesso c’è quasi completa sovrapposizione, in cui cambia solo lo stile di chi eroga il contenuto, ma a volte c’è anche una differenziazione da un punto di vista del “sottosettore” specifico, che può essere un dialetto oppure uno specifico contesto di utilizzo: probabilmente, lo slang utilizzato per capire meglio il rap e i film d’azione sarà leggermente diverso dal registro utilizzato in contesti diplomatici o d’affari… o almeno dovrebbe esserlo.
Quello che mi sento di evidenziare in particolar modo è un corso per imparare ad imparare le lingue, una sorta di “meta-corso” di lingue, ma che mantiene comunque un taglio pratico ed immediatamente applicabile. Come anticipato all’inizio di queso post, mi riferisco ad un corso di ADC, dal nome “Lingua blu“, in omaggio al suo cane (un Chow Chow che compare anche nel corso stesso). Per correttezza, premetto che Alessandro è un amico, quindi mi son fatto prepotentemente regalare il corso, ma cionondimeno il mio giudizio sul corso resta imparziale, come son abituato a valutare corsi online, di cui (soprattutto tramite Coursera) ho ormai superato da tanto quota 300, ne ho scritto in passato in Cosa consiglio dopo aver ottenuto oltre 100 cerificazioni da Coursera e EdX – e di Coursera sono anche Beta Tester volontario da tanti anni, revisiono i corsi in anteprima.
Il corso di ADC sull’apprendimento di lingue, dopo una parte introduttiva su pianificazione ed approccio (che sono molto familiari a chi ha studiato gli argomenti specifici, ad esempio tramite il suo corso “Progetto PRO2”, di cui ho parlato anche in Meno procrastinazione, più produttività) è suddiviso in sezioni progressive, che vanno dall’impostazione iniziale di scelta delle fonti, costruzione della struttura delle frasi di base, costruzione del vocabolario fondamentale, accenni di tecniche di memorizzazione delle parole (qui suggerirei un approfondimento sulle mnemotecniche, anche qui ADC ci ha fatto un corso specifico in collaborazione con Andrea Muzii, campione mondiale di memoria). Il corso prosegue con una fase intermedia in cui si iniziano ad entrare nel vivo della lingua, tramite dialoghi ed un’immersione, ovverosia la ricerca di esposizione alla lingua anche in contesti rilassanti, tramite l’ascolto di canzoni, film e così via. Consigliato anche impostare la lingua di alcuni dispositivi elettronici (come anche del sistema operativo) nella lingua che vogliamo imparare, ma qui suggerisco molta cautela: personalmente, adotto questa tecnica da tanti anni (è anche così che ho migliorato il mio inglese, durante le superiori, con la maggior parte dei programmi sul PC in inglese), ma lo sconsiglio fortemente se avete a che fare ad esempio con la lingua di un navigatore GPS che avete difficoltà a guardare o il computer di bordo dell’automobile o dispositivi di sicurezza. La parte finale del corso riguarda conversazioni intermedie e vengono proposti sistemi pratici per schematizzare la grammatica, oltre che ricordare come effettuare un ripasso efficace (e anche in questo caso consiglio di approfondire i meccanismi alla base e le tecniche per ottimizzare un ripasso in modo da contrastare la “curva dell’oblio”), per poi terminare con una fase che in realtà non termina mai: una volta giunti al livello intermedio, non c’è limite al perfezionamento. Questa è la fase in cui, per tutto il tempo in cui vogliamo mantenere e migliorare la conoscenza di una lingua, ci focalizzeremo sulle specifiche aree di nostro interesse, variando tipologia ed intensità, considerando anche obiettivi specifici. Il corso si prefigge l’obiettivo di portarci al livello B2 “intermedio superiore” del “Quadro comune europeo di riferimento per la conoscenza delle lingue”, quindi idealmente ad essere in grado di interagire con i parlanti nativi senza sforzo per l’interlocutore, in un tempo ragionevole e con un impegno assolutamente accettabile anche per un genitore e lavoratore a tempo pieno, perché mezz’ora o un’ora al giorno, se si vuole davvero, si trovano. Qui però mi sentirei di specificare che, per quanto lo reputo un obiettivo raggiungibile, possono esserci casi specifici in cui potrebbe essere richiesto più tempo, come ad esempio per memorizzare correttamente i caratteri Kanji e Hànzì (rispettivamente giapponesi e cinesi), se si considera che i bambini impiegano diversi anni per imparare le centinaia di simboli più utilizzati, quindi anche se si padroneggiano le tecniche di memoria potrebbe essere richiesto del tempo extra. Ho apprezzato davvero il corso, soprattutto per il taglio estremamente pratico e non avevo alcun dubbio sulla qualità, ADC è una garanzia almeno a livello italiano sui corsi di apprendimento. Interessanti, inoltre, le interviste ai poliglotti, sono spesso fonte di grande ispirazione ed è palpabile, direi contagioso, il loro entusiasmo.
Alessandro cita Tim Ferriss come caso specifico per la sfida di imparare lingue straniere in poco tempo, io citerei anche lui:
Sempre se siete interessati ai fatti miei, ma più che altro nella speranza che possa essere in qualche modo di ispirazione e servire a spronarvi ad imparare, queste sono alcune delle lingue che approfondisco o ripasso, tramite l’app Duolingo (che utilizzo in versione povero, gratis, non “super”):
Fonti e approfondimenti
- “Current Research on the Impact of Foreign Language Learning Among Healthy Seniors on Their Cognitive Functions From a Positive Psychology Perspective—A Systematic Review”, Klimova e Pikhart, 2020
- “Second Language Learning in Older Adults: Effects on Brain Structure and Predictors of Learning Success”, Nilsson et al., 2021
- “Improvement in executive function for older adults through smartphone apps: a randomized clinical trial comparing language learning and brain training”, Meltzer et al., 2023
- “Enhancing Foreign Language Learning Approaches to Promote Healthy Aging: A Systematic Review”, Klimova et al., 2024
- Corso “Lingua Blu” di ADC