Ho provato ad aiutare alcuni miei amici nella ricerca di riferimenti per tesi di laurea, come ho provato ad aiutare altri nel “leggere libri al posto loro” (libri non fiction come direbbero gli anglofoni, ovverosia saggistica, sulle materie più disparate), producendo poi dei riassunti o delle mappe concettuali, al fine di far risparmiare loro del tempo. Per quanto l’intento e il risultato fossero apprezzati da parte loro, mi son reso conto di un problema nella “propagazione di secondo grado” del messaggio: facendo da intermediario tra l’autore del libro e i miei amici, qualcosa andava perso, aggiungendo un grado in più a quello che già si perde nella trasmissione di informazioni (si pensi ad esempio a quel fenomeno noto come “lost in translation“). Per estensione, lo stesso concetto non si applica solo ai libri, ma a qualunque tipo di pubblicazione e alle informazioni divulgate in qualunque modo: blog, podcast, audiolibri, resoconti stenografici, documentari e così via.
Cosa si perde per strada
Per spiegare il fenomeno, potrei fare paragoni con sistemi fisici (in merito ad errori e perdite durante ad esempio propagazioni ed elaborazioni di segnali); invece, da semplice persona che ha vissuto un’infanzia pre-facebook, il paragone più semplice è quello del gioco del “telefono senza fili“: più lunga è la catena di intermediari, più bassa è la probabilità che un lungo messaggio giunga intero e corretto all’ultimo giocatore.
Per semplicità, assumendo che non ci sia distorsione nel messaggio originario (il che può essere un bene o un male, come sanno ad esempio i ricercatori che studiano gli errori nella replicazione del DNA, ma anche chiunque abbia letto “Antifragile” di Nassim Taleb), ci sarà quantomeno una perdita di informazioni: se il risultato dovesse essere lungo tanto quanto l’originale, sarebbe una copia identica, non più un riassunto. Ne consegue che, per forza di cose, perderemo qualcosa; del resto, non si scappa: in un sistema fisico reale, l’efficienza (misurata ad esempio come rapporto tra la potenza in ingresso e quella in uscita) è sempre inferiore a 1. O, se preferite, la compressione porta a delle perdite (provate ad ascoltare il suono di un ) Nella rappresentazione seguente, schematizzo quindi il singolo passaggio di un solo intermediario:
Se poi ci sono ulteriori riassuntori di riassuntori di libri (spingitori di spingitori di cavalieri), le perdite informative aumentano (e siamo sempre nella felice ipotesi di non aggiungere distorsione, ipotesi non generalmente valida, considerato il numero di persone incapace di capire quello che legge).
Sì, a chi non piacerebbe farsi inserire uno spinotto (no, non mi riferisco all’orsetto di Elio e le Storie Tese, ma al caricamento informazioni in Matrix) per inglobare tutti i dettagli di un qualsivoglia argomento? E invece, come scrive Farnam Street (consiglio di divorarvi i suoi libri e il suo blog): “Our circle of competence can be widened, but only slowly and over time“. Purtroppo non esistono scorciatoie, la strada è assimilare pazientemente i concetti e poi “Bisogna esercitarsi: bisogna provare, provare, provare, …“. Tutto qui? Capirai che scoperta…
Come spesso accade, l’argomento necessitava di maggiore approfondimento.
“Go(o)d is in the details“
(Per capire il gioco di parole, leggi qui). Riflettendo maggiormente sulla questione, ho iniziato a capire cosa fornisce la lettura di un intero libro rispetto ad un riassunto ben fatto (e non sto nemmeno a fare il paragone con chi cerca un’aforisma che racchiuda la bibliografia dell’autore). Non è tanto il ripetere lo stesso concetto diverse volte (non amo lo stile americano dei libri motivazionali o dei best seller di finanza personale dove si ripete lo stesso concetto fino alla nausea, ogni volta con parole adatte a subumani), quanto il fatto che, molto spesso, una nota a piè di pagina o una frase in inciso può colpire più del tema principale o evidenziare sfumature che di certo non si possono cogliere leggendo un riassunto. Questo ovviamente vale tanto più quanto il libro che si sta leggendo affronta tematiche già note: dopo aver letto 10 libri su uno stesso argomento, è molto probabile che l’undicesimo comprenda molte nozioni già esposte dai precedenti (magari organizzandole e collegandole in maniera diversa, se va bene), quindi il vantaggio nel leggerlo è in quel quid infinitesimale, in quell’epsilon informativo magari trascurabile per un neofita, ma che può rivelarsi la porticina che apre un mondo a chi è del settore e vuole scender giù nella tana del bianconiglio. Inoltre, una frase scritta in un certo modo può provocare collegamenti molto diversi nella mente dei diversi lettori, in base a conoscenze ed esperienze pregresse (sempre in gergo fisico, siamo dei “sistemi con memoria”, il cui risultato dipende anche dagli stimoli precedenti). Càpita quindi di lèggere una breve nota didascalica o una parentesi, buttata lì en passant dall’autore e… ci si può trovare improvvisamente in un momento “ah-ah!”, in un’epifania, in quel momento di chiarezza quando l’oculista ci fa provare la lente giusta o in quella sensazione di completezza del pezzo di puzzle che termina un quadro. E quella piccola, preziosa informazione poteva andare perduta se avessimo letto solo un riassunto!
Che poi è anche il motivo per il quale lo stesso concetto, appreso da persone diverse, si incastra in maniera diversa nella mente di ognuno: concettualmente, il concetto (mi si perdoni il bisticcio di parole) si aggancia alle nozioni di livello superiore ed inferiore, ma anche ad esperienze pregresse e ad altre risorse mentali dentro di me, fornendo poi a sua volta un nodo di “aggancio” per successivi concetti ed esperienze, che potranno capitare in maniera intenzionale o meno.
Provo a schematizzare:
Per fare un esempio: leggo come funziona un rettificatore (ReLU) per una rete neurale e quel concetto si va ad inserire, nella mia testa, nell’insieme delle funzioni di attivazione, collegandolo superiormente ai layer di una rete neurale, mentre, in basso, penso alla funzione matematica che potrei aver studiato molti anni prima e cerco intanto di richiamare un ricordo in cui ho visto un sistema funzionare così. Riprovo con un esempio più tangibile: leggendo un articolo di Dario Bressanini, apprendo come funziona la reazione di Maillard e la incasello tra altri concetti (ad esempio, ricordi di chimica) mentre riaffiorano dai miei ricordi immagini e sapori di succulente bistecche mangiate vicino grandi distese di allevamenti all’aperto in Canada o di saporiti Brezel sfornati da un panificio di un piccolo paese in Germania. E, a quel nuovo concetto appreso, probabilmente se ne aggiungeranno altri, ad esempio quando leggerò qualcosa sul Bliss Point o sull’Umami o mentre cercherò ricette di cucina.
Da un buon libro, solitamente, si estrae più di un concetto, aumentando quindi il numero di nodi e collegamenti che si vanno ad inserire nel reticolo della propria mente; il che rende altamente improbabile che due persone, per quanto abbiano frequentato lo stesso corso di studi e condiviso diverse esperienze, possano ottenere lo stesso risultato leggendo lo stesso libro: richiameranno diversi concetti ed episodi vissuti, oltre a generare potenzialmente nuove idee.
Possibili utilizzi dei riassunti
Appurato che quindi il riassunto potrebbe darci la falsa impressione di aver capito per bene un argomento senza in realtà avere in realtà osservato le sfumature che proponeva l’autore, è necessariamente un male avvalersi di un riassunto? Non del tutto: come per tutti gli strumenti, da un foglio di carta alla fissione nucleare, dipende dall’utilizzo. Nel tempo, ho identificato un paio di situazioni in cui disporre di un riassunto può essere utile:
- Prima di leggere un libro: sia come fosse una “recensione estesa” (che può affiancarsi/sostituirsi a quelle disponibili su un sito come Good Reads, su un gruppo/forum specialistico o su una piattaforma di e-commerce), sia per scorrere più velocemente gli argomenti affrontati nei vari capitoli, in modo da capire se c’è qualche capitolo che può portare valore aggiunto per noi in base al tempo speso (è sempre purtroppo un discorso di costo/opportunità: spendiamo la nostra risorsa più preziosa e limitata, il tempo, quindi ha senso spendere qualche minuto per capire se possiamo spendere ore/giorni in una lettura);
- Dopo aver letto un libro: a distanza di tempo, se non si sono prodotti degli appunti, schematizzato i principali concetti o evidenziato i punti più importanti, può aver senso riguardare/riascolare quel libro riassunto da qualcun altro (e anche se il riassuntore non citerà il passaggio che ci ha colpito, è probabile che ce ne ricorderemo ascoltando un altro passo riassunto da quella stessa opera).
Una persona che stimo (ed il cui canale consiglio caldamente, soprattutto se si è interessati al mondo dell’apprendimento) ha espresso una sua opinione in merito, dettagliando ulteriormente la mia casistica testè esposta:
E sì, soprattutto il riassunto non va utilizzato nè per farsi belli con gli amici al bar, sfoggiando una pseudo-cultura da aforismi di Oscar Wilde, nè per poter far punti in una challenge sui social a chi legge più libri (a proposito: quelli che io aggiorno nella mia lista di libri letti son libri interi, non riassunti).
Se poi siete di quelli che “ma io non ho tempo per leggere tutto, mi basta capire il concetto”, allora immagino che vi basta che vi facciate raccontare da un amico com’è un certo posto, un certo dipinto, una canzone, un film, tanto vi basta andare al sodo e sentire il concetto principale, no? Non metto in dubbio che l’executive summary di un report, così come abstract e conclusioni di un paper, serva a far risparmiare tempo, ma siete davvero disposti a perdervi tutti i dettagli?
A questo punto, non mi resta che augurare buona lettura, per intero! 🙂
[…] presenta i propri pensieri e cosa aggiunge anche in tutte le note, come ne ho parlato già in: I riassunti: utile risorsa o inutile scorciatoia verso il nulla?. Nel caso in cui non fosse stato chiaro in questo lungo articolo, lo scrivo un’ultima volta: […]