Qualche giorno fa, il chimico e divulgatore scientifico Dario Bressanini (che seguo da tantissimo tempo e di cui raccomando assolutamente il canale youtube) ha pubblicato un bellissimo saggio intitolato “Fa bene o fa male? Manuale di autodifesa alimentare”. Pochi istanti dopo, ho comprato una copia (e-book) che mi ha fatto compagnia durante un paio di pomeriggi piovosi. Penso che questo concentrato di applicazione di pensiero critico alla scienza debba non solo essere consigliato, ma adottato obbligatoriamente come libro di testo nella scuola dell’obbligo; perché possiamo anche fare a meno di imparare la storiella di Carlo VIII che dalla Francia scese in Italia oltre cinque secoli fa (con annesse date e nomi da imparare rigorosamente a memoria in seconda media) senza gravi ripercussioni sulla nostra esistenza, ma capire se qualcosa (ci) faccia bene o male e se abbiamo a che fare con la scienza o con un ciarlatano… forse è qualcosa di più utile e che merita più attenzione. Anche perché non è tanto il nozionismo ad essere importante (soprattutto considerando che ciò che sembra valido oggi potrebbe essere corretto o addirittura smentito da successive ricerche), quanto capire i meccanismi per poter operare autonomamente (come nel noto proverbio “Date a un uomo un pesce e mangerà un giorno; insegnategli a pescare e mangerà tutta la vita”). Un discorso simile l’ho affrontato anche con saggi di altri divulgatori, ad esempio quando ho parlato di “Studiare non è una ca**ata” di Alessandro de Concini e di Se pianto un albero posso mangiare una bistecca? di Giacomo Moro Mauretto, ma in questo caso mi sento di dire che sia ancora più importante, dato che si tratta di mangiare e bere, attività che (salvo casi molto particolari) svolgiamo tutti quotidianamente e che hanno un impatto diretto su di noi.
Un libro per tutti
Riconoscere che un argomento sia complesso non significa buttarla in caciara o rispondere con supercazzole qualunquiste e populiste da politicante, significa essere consapevoli che esistono dinamiche che comprendono tante variabili con pesi diversi, a volte difficili da identificare, quantificare ed inserire in un modello. L’autore affronta la complessità con un approccio scientifico, ben ponderato, per poi spiegare, con parole più semplici, le considerazioni, il processo di analisi e i risultati che, come sa chiunque abbia mai letto dei paper scientifici, possono anche non essere totalmente sicuri o definitivi. Negli ultimi sei mesi, ad esempio, ho dato il mio modesto contributo nella stesura e revisione di lavori di tesi universitarie in ambito medico-sanitario e non si contano i “tuttavia” nelle conclusioni e discussioni di elaborati scientifici citati come riferimento; non si tratta del preambolo di una risposta di un chatbot democristiano che vuole schivare ogni responsabilità, ma di una implicita dichiarazione di consapevolezza del fatto che è davvero molto difficile, quando si tratta di salute umana, dichiarare che qualcosa sia positiva, neutra o negativa per il nostro corpo: non solo la casistica è ampia (fare bene o male, ma in quali condizioni di partenza e con quali patologie in atto e pregresse? con quali predisposizioni? in concomitanza con quali azioni ed elementi?), ma molti meccanismi non sono ancora del tutto noti (soprattutto se si tratta di cervello). La situazione è efficacemente dipinta in questo fantastico corto, trasmesso anche dallo stesso Bressanini in una delle sue conferenze in pubblico:
Come se non bastassero questi intricati sistemi di equazione da risolvere in livelli che si sovrappongono, a generare rumore producendo contenuti di bassa qualità ci sono anche gli studi approssimativi (o in malafede) pubblicati sulle riviste predatorie, argomento che aveva già esposto brillantemente BarbascuraX:
Ecco perché è fondamentale un libro come quello in questione, che aiuta a capire meglio come districarsi tra le varie affermazioni (dai popolari rimedi della nonna all’ultima novità sponsorizzata dall’influencer di turno) e comprendere quali possono essere i limiti della scienza.
Ho chiesto a qualcuno di riassumere brevemente il contenuto dell’opera, mi ha risposto che è un manuale di autodifesa alimentare, dove l’autore risponde a una domanda universale che ci poniamo spesso quando valutiamo un alimento: “fa bene o fa male?” Spiega come funziona la ricerca scientifica, come distinguere la scienza dalla pseudoscienza e come evitare di cadere nelle trappole dei media e del marketing. Prende in esame alcuni falsi miti diffusi sul cibo e sulla salute, come la clorofilla che farebbe bene alla pelle e ai capelli, il cioccolato che aiuterebbe a dimagrire e a ottenere un premio Nobel, o il sale rosa dell’Himalaya che in realtà è solo sale sporco. Si avvale di studi scientifici inoppugnabili per guidarci nella scelta di alcuni alimenti basilari, come i salumi, l’olio di palma, gli zuccheri aggiunti e il sale. Con il linguaggio semplice e l’approfondimento scientifico che l’hanno sempre contraddistinto, Bressanini smonta a una a una le nostre paure alimentari, permettendoci di fare la spesa e sederci a tavola con più consapevolezza e serenità.
Sì, il qualcuno era un chatbot… e almeno questa volta “ci ha preso” un po’ di più rispetto a quando ho chiesto del libro di Giacomo Moro Mauretto (più che altro perché ha copia-incollato cautamente dal sito dell’editore).
Contenuto e analisi del libro
Senza ulteriori preamboli (e ricordando che quello che segue non è esclusivamente il pensiero dell’autore, in quanto sporcato da mie riflessioni, quindi: fatevi un favore e comprate il libro, dopo averlo letto sarete grati a voi stessi per averlo fatto), il libro, in una mia estremissima sintesi, parla di:
- Potere mediatico (bias di autorità, persuasione) di camici bianchi ed influencer;
- Correlazioni spurie;
- Importanza di saper leggere e classificare un lavoro di ricerca scientifica;
- Capire le varie classificazioni (es.: cancerogeni), indici, rischi e probabilità;
- Come capire interazioni chimiche e biologiche di base;
- Come leggere le etichette alimentari e districarsi tra ingredienti, sigle e numeri;
- “Naturale” contro “chimico”;
- Sali “puri”, “integrali”, colorati;
- Aggiunta dello iodio come caso studio;
- Moda della clorofilla, marketing e debunking;
- Acqua (alcalina, del rubinetto o inbottigliata, purificata e sottoposta a fantasiosi procedimenti).
Il tutto, sempre mantenendo uno spirito critico, alla continua ricerca di evidenze e fallacie logiche (che spiega con pratici esempi e apprezzabili citazioni). Si sentiva davvero il bisogno di questo libro perché, nelle parole dell’introduzione dell’autore:
“Il cibo sembra più un nemico da cui difendersi che uno dei grandi piaceri della vita. Questo anche a causa del marketing, che sui temi dell’alimentazione si fa sempre più aggressivo, e della proliferazione di studi e articoli allarmistici che di scientifico hanno ben poco. È paradossale che, proprio quando abbiamo a disposizione un assortimento di cibo senza precedenti, non solo mangiamo troppo e male, ma siamo sempre più confusi e ansiosi […] Può capitare di leggere un articolo che esalta le proprietà di un alimento e poi, voltando pagina, una dichiarazione di un sedicente esperto che invece lo demonizza. In entrambi i casi citando «la scienza»”.
Purtroppo, se da un lato la scienza avanza conquistando lentamente qualche certezza (e a volte distruggendo quelle vecchie), dall’altra parte ci sono migliaia di persone che, mosse da avidità di fama e danari (anche se non mancano esaltati in buona fede), affermano con sicumera di aver scoperto o inventato l’elisir di giovinezza e salute, abbondando in “chimichese/”scientifichese” per giustificare e persuadere. I primi son proprio alcuni professionisti ad esser restii ad abbandonare linguaggio tecnico e termini sempre più astrusi per darsi un tono ed ammaliare i non addetti ai lavori, tanto che ancora si sente dire, in qualche paesino, “quanto parla bene il dottore, si vede che è uno bravo!” (del resto, i medici sono gli eredi degli stregoni con i loro rituali e i chimici sono i discendenti degli alchimisti con le loro pozioni – e del ruolo di riti e procedure in ambito medico ne ha scritto anche lo psichiatra e psicoterapeuta Matteo Rampin). L’altra categoria che sguazza nella fuffa sono tutti quei cialtroni che conoscono a stento la formula per calcolare l’area di un quadrato, ma che non lesinano nel mescolare termini scientifici a caso, tra i prodigi della mente quantica ed influssi elettromagnetici planetari un tanto al chilo, infarciti di termini cool della new economy bio/green. E purtroppo, come ha scritto nel suo ultimo libro anche Alessandro de Concini, a volte in queste trappole ci finisce anche chi è più intelligente ed istruito della media (lo stesso autore, Dario, ammette d’essersi fatto tentare da cure sperimentali per contrastare il suo tumore, “male tanto non fa”, sempre che i medici osservino il principio “primum non nocere“). L’autore punta il dito (e fortunatamente non è l’unico) contro il crescente atteggiamento di cercare informazioni super-condensate in pillole, perché non ci sono nè tempo nè voglia di approfondire (ne avevo già scritto in Perché siamo così superficiali?). Non solo ragazzini influencer convincenti che mostrano l’ultimo “biohack” su TikTok, ma sedicenti esperti in camice bianco che colonizzano i vari spazi di dibattito televisivo (molto spesso scornandosi anche tra loro e sconfinando in argomenti su cui non sono minimamente competenti, come abbiamo visto nei vari teatrini durante le varie fasi dell’ultima pandemia). Il medico, per molti, gode ancora di un notevole distacco rispetto ad altri laureati e professionisti (tanto che comunemente con “il dottore” ancora generalmente si designa il laureato in medicina, non in altre facoltà), quindi Bressanini ha più volte raccontato di quanto sia difficile un confronto paritario, quando uno si presenta accanto a loro come professore di chimica. La situazione è ancora peggiore quando ci si imbatte in qualcuno che sembra uscito dal testo di “Un medico” di Fabrizio De André adattato dal poema Dr. Siegfried Iseman di Edgar Lee Masters (“[…] fui costretto a capire che fare il dottore è soltanto un mestiere, che la scienza non puoi regalarla alla gente”), solo che la maggior parte delle volte questi soggetti a metà tra il professionista sanitario e la celebrità televisiva può dire impunemente quello che vuole, sono rari i casi in cui ci sono ripercussioni (come ad esempio quando il noto inventore della “dieta Dukan” venne “scomunicato” dall’ordine dei medici francesi). In cima alla classifica delle persone che possono far danni con le loro affermazioni ci sono poi i premi Nobel, perché chi non è pratico di ricerca non sa che (almeno per i ricercatori) “uno vale uno” e tende a dare un peso maggiore alle parole di un personaggio solo perché illustre (ad esempio, Mullis, Nobel per aver realizzato l’importante tecnica PCR, è in seguito diventato famoso come complottista e negazionista del legame tra HIV e AIDS, contribuendo ad influenzare l’opinione pubblica in merito e quindi a causare catastrofi come gli stimati 300.000 decessi in Sud Africa). Come se non bastasse, queste opinioni vengono poi amplificate dai mezzi di (dis)informazione, dove giornalai (senza offesa a chi vende i giornali) non solo non controllano (per pigrizia, mancanza di tempo e soprattutto di competenze), ma esagerano alla continua ricerca di clickbait, uno dei mali del secolo; poi il fenomeno si autoalimenta, visto che tanto più il medico esprime con convizione opinioni forti (su evidenze non altrettanto forti, dato che “affermazioni straordinarie richiedono prove straordinarie” – Marcello Truzzi / Carl Sagan), tanto più diventa popolare e rincara la dose, diventando uno dei tanti opinionisti tuttologi.
Bressanini esami poi i rapporti tra correlazione e (non necessariamente) causalità… e son stato soddisfatto nel veder comparire una ad una tutte le risorse in cui, tempo fa (durante pomeriggi goliardici con amici che come me studiavano materie STEM), mi ero imbattuto, tra cui la correlazione consumo di cioccolata e numero premi Nobel vinti per nazione ed il sempre divertente sito Spurious Correlations. Non so voi, ma in effetti ho conosciuto persone non molto diverse da chi, svariati secoli fa, sacrificava vite alla dività di turno o al sole perché “lo vedi che ogni volta che sacrifichiamo qualcuno il sole poi sorge di nuovo? Vuoi mica rischiare che non sorga più!?”. Per non parlare di tutte le variabili confondenti e dei vari bias quando si prendono in considerazioni persone più salutiste (dato che è probabile che chi mangia bene e non fuma sia anche più propenso a svolgere attività fisica e darsi meno ad eccesso di alcoolici). Già a monte, alcuni ricercatori attuano una specie di pesca a strascico, come dire: intanto facciamo l’esperimento, vediamo cosa esce fuori (torturando a lungo i numeri per tirar fuori qualcosa), anche perché qualcosa dobbiamo pubblicare. Per chi non fosse pratico di questo meccanismo: è qualcosa che spesso si fa anche in alcune aziende per impressionare clienti ed investitori.
Se, nonostante il numero elevato di metriche, non trovano comnqe nulla, ripetono l’esperimento fino a quando escono dati interessanti (non importa se dovuti al caso o ad errori) e fanno cherry picking; del resto, una ricerca inconcludente (benché mancata evidenza sia comunque un risultato) non fa notizia, quindi niente interesse, niente lettori, niente soldi. E se già è complicato individuare e capire correlazioni sensate e causalità per molti ricercatori (soprattutto per la maggior parte dei medici, che ha una vaga infarinatura di matematica, quando va bene), immaginiamo cosa accade con quel gran gioco del telefono senza fili che porta l’utente MammaPancina89 (e purtroppo spesso anche “giornali rispettabili”) a scrivere notizie esaltanti o allarmanti su qualunque cibo, condite dalla solita enfasi SEO-friendly. Anche perché siamo alla continua ricerca di un senso (sfortunatamente non nel senso, appunto, da cercare secondo Viktor Frankl): se qualcosa avviene (che sia un cancro o una vincita alla lotteria), vogliamo dare colpa o merito a qualcuno/qualcosa, che sia in noi stessi, nelle stelle o in ciò che mangiamo (o non mangiamo). E proprio sul cancro (argomento a cui l’autore è diventato, ovviamente, molto sensibile), un capitolo intero cerca di dissolvere la nebbia che avvolge le varie liste di cibi sicuramente/probabilmente/potenzialmente cancerogeni, dove ricordiamo si parla di probabilità e rischi e a volte di effetti a lungo termine, non di “se mangi la soppressata, in maniera deterministica e certa muori tra X mesi” (o al contrario: “se non fumi, non ti viene il cancro ai polmoni”). Uno degli argomenti che più mi affascina è l’epigenetica, con le abitudini e l’impatto ambientale che contribuiscono nell’attivare (o no) alcuni tratti genetici; quanto vorrei che si parlasse di questi argomenti a scuola, magari al posto dell’ora di religione in cui ti parlano delle stupidaggini del “disegno divino”. Contestualmente, si parla di comunicazione e percezione del rischio (in un modo che mi ha tanto ricordato gli studi di Kahneman sul dire a qualcuno di avere il 90% di possibilità di sopravvivere ad un intervento o il 10% di non farcela), di rischio comunicato percentualmente in modo assoluto o relativo, di differenze tra qualitativo e quantitativo nelle diverse liste, del rischio di diventare tutti qualunquisti e buttarla in caciara su “tutto è cancerogeno”, ma del fatto che, ancora una volta, va bene “fantasticare” su possibili meccanismi per spiegare eventuali causa-effetto non ancora chiari, ma lanciarsi in ipotesi senza essere nemmeno certi di una causalità rischia di fare solo danni. Soprattutto se poi, come ne “Le vostre zone erronee“, si arriva ad affermare che ammalarsi di cancro è una decisione deliberatamente presa da una persona (quel libro offre diversi spunti interessanti anche per non piangersi addosso, ma su questa stupidaggine mi dissocio pesantemente). All’estremo opposto, la comunità scientifica ha aggredito con forza Tomasetti e Vogelstein, colpevoli di aver detto che dobbiamo accettare che, per alcuni tipi di cancro, non abbiano assolutamente alcun controllo, usando esplicitamente il termine “sfortuna” (e quindi vanificando tutti gli sforzi di organizzazioni internazionali e sistemi sanitari nazionali nel promuovere uno stile di vita sano come prevenzione per ridurre il rischio di sviluppare anche tali malattie). Tali affermazioni, per quanto possano essere vere, possono essere pericolose perché, se da un lato sollevano i malati (che si rimproveravano aver avuto cattive abitudini poco salutari), rischiano di deresponsabilizzare la maggior parte della popolazione, che in tal caso ignorerà i consigli alimentari o il rischio del fumo. Sarei comunque curioso di sapere, per fare un parallelo, quanto sia “il caso” e quanto sia effettivamente dovuto a fattori antropici l’attuale cambiamento climatico.
A livello quantitativo, invece, viene analizzata la presenza di alcuni nutrienti per giustificare alcune tipologie di alimenti (“stranamente” anche molto costosi e spinti molto dal marketing), per scoprire che di alcuni elementi non abbiamo evidenze sulla salute, mentre altri sono presenti in quantità così irrilevante che occorrerebbe mangiare 3Kg di zucchero di canna al giorno per assumere la quantità raccomandata giornaliera del potassio presente in tale zuccherro rispetto a quello “non grezzo”. Un po’ come giustificare l’assunzione di vino perché contiente resveratrolo (contenuto nella buccia dell’uva), ma (come ha ricordato recentemente anche GeoPop) dovremmo berne una quantità esagerata, coi problemi che superano (di diversi ordini di grandezza) i presunti benefici. Bressanini, sempre partendo dal conteggio degli zuccheri, mostra anche come si legge l’etichetta coi valori nutrizionali e mette in guardia dalle più comuni strategie di marketing (…e packaging), che mi hanno anche ricordato alcune tecniche raccolte dallo psichiatra Matteo Rampin nel suo “Al gusto di cioccolato. Come smascherare i trucchi della manipolazione linguistica” di Matteo Rampin.
Interessante poi tutta la storia che ha portato tanta fama al “sale rosa dell’Himalaya” (che non viene dall’Himalaya) e ai suoi fantomatici 84 preziosi oligoelementi; discorso che si estende a tutti gli altri sali (colorati/sporchi e non, da alcuni mari o miniere). E se le bufale si son propagate alla vecchia maniera, tramite copia-incolla ed inoltro di e-mail nell’epoca pre-social, non è difficile immaginare quanto prolifereranno in un futuro non troppo distante in cui gran parte dei contenuti sarà generato in maniera semi-automatica da bot che non controllano le fonti (non che oggi i giornalisti filtrino o indaghino la veridicità di una notizia).
Se poi si prova a chiedere a queste persone quali siano questi fantastici oligoelementi presenti in questo ed altri sali, la risposta somiglia a qualcosa di simile:
Un caso studio degno di nota, affrontato da diversi punti di vista, è quello sul sale iodato (quindi: dello iodo aggiunto al comune sale da cucina), che mostra che, quando c’è la volontà, i vari attori coinvolti (enti locali, ricerca, sanità, industria, governi) possono operare in sinergia per migliorare le condizioni di salute di una popolazione.
Il caso della clorofilla (una moda tornata in auge dalle recenti influencer su TikTok, dove l’unico obiettivo è colpire l’attenzione nei primi secondi e tenere incollato allo schermo per il successivo minuto) è spiegato così bene da un punto di vista chimico e di paralleli con la fisiologia, che è un rabbit hole nel quale è un piacere perdersi, non aggiungo altro, leggete quel capitolo tutto d’un fiato, è un piccolo capolavoro. Anche se fa riflettere quanto siano vani gli sforzi di mettere a tacere i ciarlatani che vendono speranze, visto che, dopo diversi decenni in cui le ricerche evidenziano come non ci siano benefici sulla salute, alcuni prodotti vengano ancora commercializzati, suggerendo che ci probabilmente un mercato c’è.
E infine il grande tema dell’acqua, sensibile soprattutto in Italia dove, nonostante l’acqua dal rubinetto sia generalmente buona un po’ ovunque, si compra tantissima acqua in bottiglia (seconda nazione al mondo per consumo, dopo il Messico), coi tanti paradossi del desiderare un’acqua più leggera, mentre poi molte persone cercano integratori salini (per aggiungere proprio ciò che cercano di evitare nell’acqua… un po’ come fare tanta fatica per usare l’auto per spostarsi anche di 100m, mentre poi si paga per andare in palestra su un tapis-roulant). Acque del nord comprate al sud e viceversa (migliaia di camion in giro tra traffici ed inquinamento per trasportare quest’acqua da una parte all’altra “…che ognuno si beva la sua acqua!” urlava Beppe Grillo quando ancora meritava l’ascolto). E ancora: depuratori e caraffe, acqua ozonizzata, idrogenata, “informata” con memoria, dinamizzata/energizzata, ricostruita, il tutto corredato da forti affermazioni e a volte dimostrazioni scenografiche buone per uno spettacolo di magia o per un video da condividere per intrattenere, ma nulla di scientificamente sensato.
Nel libro comunque c’è molto, molto altro (spiegato molto meglio e senza i miei vaneggiamenti da studioso imbruttito dopo aver ascoltato troppi “secondo me, la scienzah…”). C’è una lunga ed accurata spiegazione sugli zuccheri (non approfondita come quella presente nel libro “The Glucose revolution”, ma comunque davvero notevole), andando poi nello specifico nei vari casi pratici (tra cui le confetture e tutte le relative etichette confondenti reputate ingannevoli, ma che a volte persistono nonostante le multe) Si accenna al p-hacking, alle meta-analisi e alle umbrella-reviews, si passa anche quasi al filosofico, pensando che potremmo avere in corpo alcune molecole d’acqua appartenute al corpo di Giulio Cesare (il che mi ricorda il forte concetto dell’interessere buddhista legato all’entanglement quantistico, come avevo già scritto in Religion and Science: much more than old ethics and trivial arguments). E soprattutto un grande classico: il “naturale contro chimico” (un saluto alla mia docente di italiano alle scuole medie, in tema di analfabeti funzionali, che demonizzava “la chimicah!” e alla quale rispondevo “allora se uno sta male, al posto dell’aspirina (chimica) diamo un po’ di cicuta (naturale)”).
Scienziati improvvisati
Evidenzio molto brevemente qui a parte una categoria che mi è subito venuta alla mente mentre leggevo gli esempi di dove cercare i paper di ricerca, come filtrarli e come interpretarli: parlo di tutti i sedicenti “esperti” di “biohacking”, gentaglia di qualunque ordine e grado che, soprattutto in cerca di soldi e popolarità, cerca di avvalorare le proprie sensazionali scoperte dicendo, ad esempio: “fidatevi di me: che questo cibo sia miracoloso non lo dico io, guardate è qui su PubMed” oppure: “vi leggo cosa dice questo studio dell’università X che ho trovato su Google Scholar”. Tolte le problematiche che ho scritto prima sulla bontà degli studi e sul verificare la causalità, davvero c’è qualcuno (laureato in materie non scientifiche e anzi spesso nemmeno laureato) che pensa di poter sostituire anni di studi e ricerca… con la lettura domenicale di qualche paper preso a caso? Continua a deprimermi non tanto l’analfabetismo funzionale (tra l’altro discretamente diffuso in Italia, nazione purtroppo in posizione non invidiabile nella relativa classifica), quanto l’incapacità di distinguere le differenti competenze richieste per capire una vignetta da un libro di battute e un grafico che elabora dati statistici: l’utilizzo di linee e figure può trarre qualcuno in inganno e far pensare che siano immediatamente comprensibili ed interpretabili allo stesso modo, mentre la maggior parte delle persone andrebbe nel panico già solo se su un diagramma fosse presente una scala logaritmica. Figuriamoci se poi si fa riferimento a studi specifici in cui è necessario un ampio bagaglio di conoscenze pregresse nella materia. Nel tentativo di ridurre la mia ignoranza nella lettura di risonanze magnetiche negli studi di neuroscienze (di cui sono fortemente appassionato) ho conseguito il certificato dell’intera specializzazione (4 corsi) “Neuroscience and Neuroimaging” della The Johns Hopkins University (in cui si sono affrontati anche temi che già padroneggiavo, in ambito di elettromagnetismo ed informatica) e ovviamente ora non mi reputo minimamente un esperto di fMRI, quando invece… in giro (su YouTube e non solo) ci sono cialtroni che non hanno idea di come funzioni la digestione, ma ciononostante ostentano una fintissima padronanza della materia quando leggono pezzi tratti da giornali di medicina per addetti ai lavori con le analisi dell’ultimo esperimento sul “superfood” del momento. Fermi prima del picco iniziale del Dunning-Kruger, questi soggetti a volte credono davvero che basti una manciata di ore passate a sfogliare qualche articolo per padroneggiare una materia, facendo passare anche l’idea che non occorra molto per capirne almeno quanto un professionista, il che contribuisce ad alimentare polarizzazioni date da estrema semplificazione di concetti complessi e complottismi d’ogni sorta. Sarò forse estremo, ma (per me) se non hai mai sentito parlare di reazioni di ossidoriduzione, non puoi pretendere di capire (e ancora peggio fingere davanti agli altri di aver capito e addirittura voler spiegare) un articolo di chimica come fosse una barzelletta su Totti. A chi obietta che il più grande divulgatore scientifico (Piero Angela, a cui in molti dobbiamo tanto) fosse un giornalista e non uno scienziato, faccio presente che era circondato da validissimi esperti tra cui, per restare in tema di cibo, Carlo Cannella, professore ordinario di Scienza dell’Alimentazione, che compariva in studio durante la rubrica “Scienza in cucina”. Ci mancate.
Ultime brevi riflessioni (promesso)
Anche se conoscevo molti degli studi e degli approcci (pensiero critico) esposti dall’autore, è stato comunque una piacevolissima lettura e quell’epsilon in più che ho imparato lo reputo comunque di grande valore; inoltre, mi riempie di soddisfazione sapere che mi abbevero dalle stesse fonti da cui attingono anche stimabili personaggi come Bressanin; assolutamente non trascurabile, infine, leggere il modo in cui un autore presenta i propri pensieri e cosa aggiunge anche in tutte le note, come ne ho parlato già in: I riassunti: utile risorsa o inutile scorciatoia verso il nulla?. Nel caso in cui non fosse stato chiaro in questo lungo articolo, lo scrivo un’ultima volta: questo libro è assolutissimamente consigliato per capire come vada affrontata la complessità delle informazioni in un mondo che ci dà l’illusione (superficiale) di avere le risposte a tutto. In maniera provocatoria (ma nemmeno troppo), proporrei di inserire lunghissimi bugiardini (come si fa con i farmaci) nelle confezioni degli alimenti, dato che (proprio come scritto sui medicinali) non è detto che quelle molecole benefiche per qualcuno possano fare del bene anche ad un altro: va visto caso per caso e contestualizzato. Una maggiore consapevolezza è necessaria, per capire quando ci si trova davanti al venditore che ci vende “l’esperienza” (che a volte non è molto differente da quelle che vendeva Wanna Marchi), quando le nostre scelte hanno ripercussioni esclusivamente sul gusto o sull’estestica, ma non sulla salute o quando dobbiamo stare particolarmente attenti a possibili effetti dannosi (non solo sul portafoglio). Dovrebbe essere chiaro a tutti che, per la scienza, “tutto quello che viene affermato senza prove può essere liquidato senza indagini” (come dice Paolo Attivissimo), perché l’onere della prova spetta a chi ipotizza una eventuale teiera nello spazio, non a chi non ci crede e deve giustificare la smentita. A volte i “claim” sulle presunte qualità di alcuni prodotti alimentari sono talmente grotteschi da superare i finti spot della ditta Acazzari nella trasmissione “610” di Lillo e Greg – se le sponsorizzazioni continuano, significa che purtroppo tali pubblicità o passaparola fanno presa su una parte di pubblico che poi li acquista, persone che ripetono a pappagallo “ma contiene la molecola X” senza sapere se esiste, cosa sia e se/quanto faccia bene, tanti utili idioti che sembrano usciti dal film Idiocracy (“Brawndo ha gli elettroliti che servono alle piante”).
Quello che spero, è che il tempo e il denaro spesi nel cercare e provare questi elisir di giovinezza (sponsorizzati dall’influencer belloccio di turno o ancora peggio da una persona in camice bianco che dovrebbe essere autorevole) vengano invece utilizzati per leggere libri come questa piccola perla, che mostra anche come la chimica sia fondamentale nel capire i meccanismi alla base della nostra esistenza e del mondo in cui viviamo.
Auguro a Dario Bressanini una lunga vita in salute, abbiamo bisogno di studiosi appassionati divulgatori come lui.
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