La scorsa settimana ho deciso di leggere un saggio scritto da un biologo evoluzionista e divulgatore che seguo da tempo, a mio avviso uno dei più validi nel panorama italiano, Giacomo di Entropy for Life (andavo quindi praticamente a colpo sicuro, non temevo di sprecare ore del mio tempo). Questo è il libro in questione, iniziato e terminato nello stesso giorno, col sottofondo di uccellini, cascate e ruscelli:
“Il libro ci racconta quali sono i problemi ecologici più importanti, quali sono le cause che contribuiscono maggiormente alla crisi ambientale e quali sono le azioni più utili per contrastarla. Il libro ci spiega come il nostro stile di vita e le nostre abitudini alimentari influenzano l’ambiente e come possiamo fare la differenza con piccoli gesti quotidiani. Inoltre, il libro ci fornisce informazioni scientifiche e dati precisi per aiutarci a capire meglio la situazione attuale e come possiamo contribuire a migliorare il nostro pianeta.”.
Ecco, questo è quello che mi ha risposto un chatbot quando ho chiesto di scrivermi un’itroduzione per questo mio post, ma ecco che si evidenzia il limite del chatbot: non mi dice che c’è un altro importantissimo spunto che si trae dal libro. Ovvio che il contenuto del saggio è l’ambiente, ma quello lo avrebbe potuto notare chiunque anche solo leggendo la copertina. Quello che però reputo altrettanto importante, in questo caso, è il “meta” del libro, oltre al suo messaggio: mi riferisco all’approccio scientifico, a tutto quel processo che va dall’interrogarsi su questioni anche quotidiane e banali, al cercare informazioni autorevoli, all’analizzarle con metodo scientifico e a interpretarle a livello di piccolo sistema chiuso ed in un contesto più ampio, senza contare poi la continua ricerca di equilibrio tra una crescente curiosità ed un tempo limitato, giacchè ars longa, vita brevis. Giacomo, infatti, tiene incollato il lettore che torna a giocare con la mente e i suoi tarli (per dirla come Mogol-Battisti), già dalle prima pagine, partendo col dubbio “è più energeticamente efficiente scaldare il caffè esclusivamente col fornello della cucina dopo aver riempito la moka con l’acqua fredda oppure dopo averla riempita col rubinetto dell’acqua calda?”. La reazione a questa domanda è un ottimo modo per capire il modo di pensare di una persona: non mancheranno i “secondo me” di persone che non sono mai andate oltre le operazioni fondamentali di matematica e che vivono passivamente gli eventi dentro e fuori di loro, col cervello spento. Solitamente, si tratta di individui che non sono abituati a capire contesti, interazioni in sistemi complessi e che son pronte a dubitare di qualsiasi cosa sia più complicato di un’addizione a singola cifra, parliamo di gente che crede all’ascendente e a cui, in un mondo coerente, andrebbero negati medicine e diritto di voto (cit.). Dall’altra parte, abbiamo chi si fida in modo ragionevole della scienza e sa che un aereo o un ascensore sono generalmente sufficientemente sicuri perché si basano su studi e procedure, non sui “secondo me”; per chi, in particolare, ha studiato discipline tecnico-scientifiche, inizia un lungo viaggio mentale, cercando di pensare a tutti i possibili fattori coinvolti nei processi in questione e di richiamare alla memoria le proprie nozioni di chimica e fisica nei sistemi complessi. Soprattutto gli ingegneri hanno un’idea di quanti siano i “dettagli” che possono influenzare un risultato, tra materiali, forme, disposizioni nello spazio e tanto altro. Si arriva ad un punto in cui poi è necessario fermarsi: va bene l’effetto farfalla e tutto il resto, ma ad una certa è il caso di “troncare all’ordine n”: se nel computo energetico della differenza di emissioni tra un’auto elettrica ed una a benzina inizio anche a considerare quanto ha inquinato il mezzo di trasporto nel tragitto casa-lavoro degli operai che lavorano alla realizzazione del motore di quelle automobili in costruzione, mi accorgo di essere andato un po’ troppo oltre. Senza ulteriori elucubrazioni, riporto di seguito un po’ di spunti e riflessioni personali tratti dalla lettura del libro di Giacomo, che consiglio a chiunque, per acquisire maggiore consapevolezza su tematiche che, a prescindere dalle mode del momento, interessano tutti.
Argomenti trattati e alcune riflessioni
Evito di scrivere un riassunto del libro, ma nel caso possa essere utile a fornire un’idea, questo è l’indice:
- Fidarsi della scienza
- Le problematiche ambientali
- Inquinamento
- Cambiamento climatico
- Esaurimento delle risorse
- Perdita della biodiversità
- Le api sono in pericolo?
- Quanto è utile piantare un albero?
- L’impatto ecologico delle carni
- Le alternative alla carne
- È sempre sbagliato uccidere un animale?
- Discussione tra divulgazione e attivismo
Un concetto su cui l’autore torna spesso è quello, molto pragmatico, di compromesso (trade-off), che ho sempre trovato tanto “sfidante” quanto interessante, sin da quando alle superiori risolvevo problemi di ricerca operativa: come per la maggior parte delle decisioni in ambienti complessi, si ha a che fare con una coperta corta, che lascerà qualcuno un po’ scoperto e scontento, cercando però di trovare la soluzione migliore (o “meno peggiore”) per il sistema nel suo insieme. E quando poi si pensa di aver trovato l’ottimo (o sub-ottimo), spuntano altri vincoli che non si erano considerati prima o si scopre che il sistema non era così chiuso come si credeva. Il tema delle risorse limitate e di scambi (con perdite) è qualcosa di familiare anche a chi ha perso un po’ di tempo con Age of Empires. Inoltre, la complessità (e conseguente difficoltà computazionale e decisionale) cresce in maniera quasi sicuramente non lineare all’aumentare delle variabili: se si prendono in considerazione anche solo variabili binarie (che possono assumere solo valori 0 o 1, quindi “c’è”/”non c’è”), con una variabile binaria posso avere 0 o 1, con due variabili devo tener conto di 00 01 10 e 11, passando quindi da 2 a 4, con tre variabili arrivo a 8 e così via, in maniera esponenziale (v. anche tabelle logiche). Sulle problematiche ambientali, ritengo opportuno puntualizzare che il pianeta sta benissimo, è la gente che è spacciata (ho alleggerito la frase detta in maniera più diretta dal grande comico di Stand-up George Carlin):
Tra i diversi aspetti che mi son piaciuti del libro, c’è la continua e paziente divulgazione della complessità, partendo dalla (non troppo ovvia) distinzione tra i diversi inquinamenti, dato che la maggior parte delle persone tende a vedere l’inquinamento come un unico grande blocco. Lo stesso vale per lo sforzo dell’autore di mostrare i diversi modi di considerare e misurare grandezze come la CO2 equivalente o il consumo dell’acqua. E, sempre parlando di complessità, apprezzabile lo sforzo di parlare di effetti anche secondari e apparentemente indiretti di alcuni prodotti inquinanti e del riscaldamento globale (come il fatto che una maggiore energia potrebbe implicare piogge più frequenti, con buona pace di tutti quelli che osservano: “non è vero che il pianeta si sta riscaldando, guarda quanta pioggia”). Ottima anche la spiegazione degli effetti di retroazione nei sistemi e della necessità di utilizzare calcolo differenziale in sistemi dinamici (in entrambi i casi, m’è partito il momento Amarcord pensando ancora ai tempi delle superiori quando studiavamo, con tanti esercizi, tutti questi effetti pratici) e del tipping point (soglie critiche che potrebbero portare ad autosussistenza di alcuni fenomeni, nel caso specifico circoli viziosi non particolarmente desiderabili). Oltre alle grandezze chimico-fisiche (come temperatura e concentrazione di gas specifici nell’atmosfera), Giacomo affronta in maniera chiara anche i complessi equilibri nel numero di individui delle diverse specie e il loro impatto a livello locale e globale, evidenziando i problemi del mancato rispetto delle equazioni di Lotka-Volterra (ma aggiungerei anche nella dimenticanza di agire katà métron, come gli antichi greci indicavano il senso della misura), un po’ come se tutte le risorse del pianeta fossero lì per essere sfruttate unicamente a nostro piacimento:
(risorse, vite incluse, abusate a volte anche per un uso marginale o per errore, come nel fenomeno del bycatch, che si verifica ad esempio ogni qualvolta nelle reti da pesca finisce una specie che non si intedeva acchiappare).
Nel libro si trova inoltre un’interessante trattazione del fenomeno delle “specie aliene”, animali esterni ad un determinato ecosistema, trasportati in maniera intenzionale (come avrà letto chiunque negli ultimi giorni, col triste caso dell’orso importato in Trentino che ha portato alla morte di un corridore) o anche involontariamente, che posson portare a seri problemi, come ironizzato in una puntata dei Simpsons:
Interessantissime, oltre che a livello prettamente biologico, le considerazioni a livello sociale, di quanto l’essere umano semplice e qualunquista vada dietro ai simboli senza capire se una sua azione possa essere positiva, neutra o negativa (la maggior parte delle volte, per fortuna o purtroppo, porta a risultati irrilevanti), come adottare un alveare, secondo il diffuso luogo comune che l’ape produttrice di miele sia in estremo pericolo, oppure del piantare un albero. Nel primo caso, un aumento indiscriminato di individui di ape europea potrebbe persino essere controproducente e causare problemi ad altre api e forme di vita in generale (spillover, quindi salti di specie di patogeni che contagiano altre specie; competizione con altre api di altre specie per le medesime risorse; preferenza di un ristretto tipo di fiori da impollinare).
Nel secondo caso, pochi sanno che è più importante proteggere gli alberi attualmente in vita piuttosto che trascurarli e piantarne di nuovi (ma ovviamente qui entra in gioco la stessa logica che vale per molti oggetti ed attività: fa più figo realizzare/comprare qualcosa di nuovo piuttosto che prendersi cura di quanto è già esistente). Senza contare il fatto che la maggior parte dei non addetti ai lavori non ha nemmeno una vaga cognizione degli ordini di grandezza in gioco: per “compensare” gli effetti della CO2, sarebbero necessari migliaia di miliardi (quindi una cifra seguita da 12 zeri) di alberi; se volessimo piantare un albero in ogni “posto libero” sul pianeta, potremmo comunque arrivare a 1.000 miliardi (in proporzione alla popolazione, l’Italia dovrebbe contribuire piantando sul proprio suolo circa 7,5 miliardi di piante). Questo mi ha ricordato la legge che prevede, per i comuni oltre i 15.000 abitanti, di piantare un albero per ogni bambino nato (legge 29 gennaio 1992, n. 113): questa legge dovrebbe essere aggiornata a 1.000 alberi per ogni nato (tralasciando poi il fenomeno di crescita sotto lo zero della nazione). Interessante il potenziale utilizzo degli alberi per immagazzinamento di anidride carbonica (rallentandone anche la decomposizione che la rilascerebbe). Anche per gli alberi, comunque, vale un discorso parzialmente simile a quello visto per le api: lodevole la buona volontà, ma non basta “fare le cose tanto per”, occorre gestire gli alberi con criterio, pena procurare ad esempio un grave impatto sulla biodiversità. E ricordiamo: gli alberi crescono da soli, non occorre lo sforzo umano di piantarli; piantarli è più che altro un simbolo per noi stessi (che possiamo pensare di aver pagato la nostra indulgenza plenaria nei confronti dell’ambiente) e per gli altri (una bella posa instagrammabile con vanga e alberello, che fa molto persona impegnata e sensibile), poi possiamo vantarci come la mosca cocchiera nella bella favola di Jean de La Fontaine del 1671.
Prima di proseguire, un’ulteriore considerazione: un approccio scientifico comprende anche vedere numeri/azioni in prospettiva; le emissioni medie stimate di CO₂ derivanti da alcuni nostri comportamenti potrebbero rivelare, per alcuni, delle sorprese, evidenti se riportate in semplici grafici (la scala è lineare):
Quindi mangiare carne e derivati ha un impatto sull’ambiente minore (esattamente metà) rispetto ad utilizzare aeromobili per spostamenti occasionali, tre volte minore dell’utilizzare frequentemente un’automobile (ricordando che son stime medie e che non si tiene conto di dettagli come tipologia di carburante). Se poi cercate di seguire una dieta vegana, non prendere un aereo e non usare mai l’auto, sappiate che i vostri sforzi servono sì a ridurre l’inquinamento, ma questo è il vostro sforzo in proporzione a chi invece mette al mondo un figlio:
Certo, quel figlio potrebbe essere una potenziale futura ricercatrice sull’ambiente o un futuro ingegnere che implementa una qualche soluzione all’inquinamento, ma ricordiamo che qui stiamo parlando di valori medi e di fermarci al primo ordine, altrimenti non si termina mai.
Come presagibile dal titolo, dopo gli alberi arriva il discorso bistecche: il libro mostra alcune differenze (senza andare però nei dettagli nutrizionali) sui principali animali da allevamento (come bovini, suini, ovini, caprini, pollame) e loro derivati. Dopo aver parlato della differenza esigua di consumo di acqua tra una dieta con prodotti animali ed una vegana (solo 20% in meno nel caso di dieta esclusivamente vegetale, rispetto ad un quasi -90% nel caso di eliminazione di tabacco, alcool, zuccheri e caffè), si affronta l’impatto sull’uso di suolo e sulla produzione di metano (notevoli nel caso di ruminanti come il manzo, rispetto a maiale e pollo), con le differenze tra allevamenti intensivi ed estensivi. Si parla poi delle forme di vita nel mare, quindi gli effetti della pesca, con approfondimenti sui bivalvi come le cozze (su cui l’autore ha pubblicato un video, seguito da risposte alle critiche). Immancabile poi l’analisi di convergenze e divergenze tra i temi di animalismo ed ambientalismo, ad esempio: se consumare pollame presenta un minore impatto sull’ambiente, una dieta con più polli e meno manzo comporta un numero decisamente maggiore di uccisioni, il che porta poi anche a chiedersi se in alcuni casi sia giusto o addirittura auspicabile uccidere individui di una specie, se ad esempio invadono un territorio causando danni, come avviene a causa dei cinghiali in alcune zone (che potrebbero poi anche essere “riciclati” per l’industria alimentare) o di ratti.
Nel libro c’è molto altro e scritto molto meglio (avevo premesso non avrei scritto qui un riassunto, ma perlopiù frammenti corredati di mie riflessioni), merita assolutamente una lettura. Se proprio dovessi provare a sintetizzare in maniera estrema, direi che il succo sia: informarsi da fonti autorevoli (e possibilmente indipendenti) e, come per una buona dieta, ridurre i consumi di un po’ di tutto.
Una riflessione “socio-ambientale”
Nella società dell’apparire e del virtue signalling, lo pseudo-ambientalismo è uno dei temi magnificamente evocati in questo video dei Nightwish:
Chi, come me, è stato attivo nel movimento scout per diversi anni e per chi si ricorda che i fenomeni ambientali si studiavano anche durante i primi anni di scuola (ricordo vividamente di aver trattato, ad esempio, anche l’eutrofizzazione), capirà che questo libro non cerca di cavalcare tematiche di moda per qualche gretino (termine che designa seguaci, non necessariamente minorenni, che idolatrano una ragazzina svedese diventata popolare per lamentarsi chiedendo che “qualcuno potente faccia qualcosa per salvare il pianeta”). Non a caso, l’autore dedica il libro “a chiunque voglia fare qualcosa di concreto per l’ambiente” e lui, con la sua preziosa attività di divulgazione (e non di imbrattamento opere d’arte o occlusione di tangenziali), è parte attiva. Del resto, campagne di sensibilizzazione su questi temi venivano trasmesse in Italia anche negli anni ’70, ad esempio:
Il che mi fa pensare che forse nutriamo troppa fiducia verso i singoli individui e troppa speranza nella classe politica, forse sarebbe il caso di credere meno nei politicanti che si mostrano in video con un cane in braccio e pretendere una delega a scienziati e tecnici, per agire realmente senza preoccuparsi di apparire belli alla continua ricerca di “like” per i propri profili social privati e di consenso elettorale per le successive votazioni.
Un sentito grazie a Giacomo Moro Mauretto per avermi tenuto compagnia, oltre che con i suoi video, con questo suo libro; a proposito, Giacomo: nell’ultimo capitolo, hai scritto “in questo libro spero di aver proposto un approccio utile per affrontare le questioni ambientali, fornendo degli strumenti per definire, quantificare, analizzare tali problematiche e confrontarle con altre posizioni o interessi”… secondo me, sei riuscito nell’intento, auguro (per il bene tuo e di tutti) che questo libro porti subito al suo autore la sua meritata popolarità.
[…] ad esempio quando ho parlato di “Studiare non è una ca**ata” di Alessandro de Concini e di Se pianto un albero posso mangiare una bistecca? di Giacomo Moro Mauretto, ma in questo caso mi sento di dire che sia ancora più importante, dato […]
[…] and human nutrition – that’s why I appreciated the systemic approach in books like Se pianto un albero posso mangiare una bistecca?, Fa bene o fa male? and many many others). In 1963, ecologist and economist Garrett Hardin proposed […]