Questo articolo verrà letto da qualche curioso, da qualche crawler o scraper che lo memorizzerà per sempre, ma un po’ anche sticazzi. Spero che condividere la mia esperienza possa essere d’aiuto o d’interesse per qualcuno. Cercherò di ridurre al minimo dettagli personali, anche perché non li reputo interessanti. Pochi preamboli, si comincia.
Intenzionalità
Questa parola è quasi un mantra per le persone più interessanti che conosco, che hanno degli obiettivi, una direzione o, molto più “semplice” e più importante, dei valori. Riassunta così, senza pensarci troppo, direi che c’è intenzionalità quando la propria vita non viene subita e decisa in gran parte da altri (salvo sottostare alle leggi della fisica e a quel minimo insieme di regole che disciplinano la vita in società), quando si ha quantomeno qualche idea su come vivere sia nel lungo termine sia nel quotidiano – e le due pianificazioni sono (o dovrebbero essere) in qualche modo correlate, con un approccio dal breve al lungo periodo (come avviene per chi imposta uno stile di vita con un complesso di abitudini che portano “automaticamente” a dei risultati dopo un po’) oppure al contrario (come per chi pianifica degli obiettivi e quindi imposta dei mini-obiettivi parziali/intermedi). Ma non sarò qui a ripetere che non c’è vento favorevole per chi non sa in quale porto andarsi a prendere un aperitivo con Seneca a discorrere sulla brevità della vita. Mi focalizzerò su uno degli aspetti forse più importanti dell’intenzionalità: il consumo (ed eventualmente produzione) di informazioni. Che informazioni? Risponderò un po’ come rispondeva Vulvia oltre 20 anni fa mentre pubblicizzava la crema alle foje della Gargné: niente, le informazioni, le informazioni in generale! Ed è forse proprio questo uno dei punti che crea forte dissonanza cognitiva: no, non l’essere attratti da Corrado Guzzanti travestito da donna, ma il punto di non “focalizzarsi”, per chi invece vorrebbe una vita potenzialmente intenzionale. Come in una dieta alimentare (non necessariamente dimagrante) seguita bene, uno potrebbe impostare la propria vita con un 80% strettamente intenzionale e un 20% libero – al posto del comfort food, una buona dose di trash e nonsense, possibilmente mezzo-intenzionale anche quello, non un doom-scrolling totalmente casuale. “Basta poco, che ce vo’?” direbbe Giobbe Covatta. E invece no. Altrimenti non starei scrivendo questo articolo.
Un consumo intenzionale di informazioni prevederebbe in teoria la ricerca di qualcosa nello specifico quando la scelta è davvero molto ampia, come nel caso di Internet, dove “col motore di ricerca puoi arrivare dappertutto, anche dove non volevi” (cit. EELST), ma anche nel caso di biblioteche pubbliche molto ben fornite; possono esserci casi in cui la scelta è molto più limitata, come ad esempio avviene quando si cerca qualcosa da vedere/ascoltare in diretta in TV e radio (c’è qualcuno sotto i 30 anni che ancora ne fa uso? a parte qualche hipster per darsi un tono alternativo vintage), con una selezione decisamente ristretta – per capirci: qual è la probabilità di ascoltare un brano musicale fusion jazz, rock progressive o black/death metal? Quando qualche conosceva mi diceva “ascolto tutto”, intendendo che ascoltava tutti i generi musicali ma poi continuava con “tutto quello che passa la radio”, scoppiavo a ridere, spiegandogli che era come dire: “guardo tutto lo spettro dei colori… tutto quello che mostra questo canale che mostra solo queste 10 tonalità di giallo”. Un tempo la scelta era ancora più limitata, visto che il numero di canali televisivi, stazioni radio, autori di libri, cantanti, giornali e così via era molto più contenuto; non c’erano ancora gli spingitori di spingitori di “broadcast yourself”, tutti alla disperata ricerca di essere “tutti famosi” (come direbbe Ginetto Micidial). Qualche decina d’anni fa esistevano giornaletti e stazioni indipendenti/amatoriali, gruppi musicali che registravano in garage su audiocassetta, sì, ma non c’era questo sovraffollamento di canali su Internet, dove teoricamente nello scrolling infinito di TikTok (per citarne uno dei tanti) può finire un estratto di un’intervista a Bertrand Russell seguito così di botto senza senso da uno short della challenge di scorregge del momento. Non son qui a giudicare nessuno, guardo e giudico me stesso – sì, dovrei osservarmi con “mentalità non giudicante”, come direbbe un buddhista, ma non solo son troppo umano, come diceva un famoso tededsco coi baffi nato nel XIX sec., ma sono anche molto occidentale, René. Queste divagazioni e citazioni son parte del problema: come in una specie di esternazione in una sindrome di Tourette, escono fuori di continuo (nella mia mente, mi controllo quando parlo con gli altri… e spero di continuare a farlo ancora negli anni a venire, per non far la fine del classico nonno Simpsons che intrattiene parenti, amici e conoscenti loro malgrado, con continui voli pindarici).
Perché ne scrivo ora
Siamo nel mese breve (si spera non nel senso di “secolo breve”, almeno da un punto di vista di conflitti mondiali) eppure, arrivati a meno di metà del mese, mi ero rirovato già con un consumo che lascerebbe basite le “persone medie” – non lo dico con accezione negativa, mi riferisco al fatto che alcuni studi riportano dati inquietanti sul tempo buttato sui social network e, al contempo, valori bassissimi di libri letti in un anno – anche se, come ricorda ogni tanto Piergiorgio Odifreddi, a vedere i libri in testa alle classifiche viene quasi il dubbio che forse non sia meglio che si legga poco. Nel precedente post, WILL (What I Love Learning) – 2025.02, avevo scritto il mio resoconto mensile di materiale consumato, aggiungendo che mi sarei fermato, mi sarei chiuso a riccio come suggerito dal saggio Duccio. E invece, neppure due giorni dopo, ho fatto l’errore da principiante di chi pensa di essere assolutamente padrone di sé e di poter gestire dipendenze/abusi di sostanze e comportamentali; mi son detto: non leggo il prossimo libro, do solo un’occhiata per vedere quale leggere per primo tra questi tre, vedo solo le prime due o tre pagine. Com’è andata a finire? Che quei tre libri li ho letti tutti. In una settimana. E sono sicuro che, piuttosto consapevolmente, una spinta è dovuta anche dall’aver rivisto la mia “situazione libraria” che traccio da un po’ di tempo. E all’aver cercato (mea culpa, lo sapevo che sarebbe stato meglio andare a letto presto quella sera, anziché pormi la domanda “chissà se qualcuno traccia i libri consigliati da alcune persone, come ad esempio quelli che Bill Gates elenca nelle sue note?”). Sì, la risposta è che esistono siti come goodbooks.io, oltre alle varie awesome/curated list sparse ovunque su Internet. A questo, si aggiunge “l’intelligenza artificiale”, che solitamente può servire a risparmiare tempo, per una persona “mediamente superficiale”, che chiede “mi fai il riassunto di questo libro?”, ma che nel mio caso è “peggiorativa”, perché il mio prompt è invece “mi consigli 5 libri su [argomento]?” e “argomento” è la qualunque. Il che, come facilmente intuibile, va ancora contro il concetto di intenzionalità. Ad aggravare la situazione: ogni libro è una piccola bomba a grappolo, visto che non solo spesso reca seco una sezione bibliografia, con titoli che a loro volta avranno un’altra sezione bibliografia, ma ci si mettono anche i “sistemi di raccomandazione” e le recensioni utenti sui vari siti come GoodReads, in cui ad ogni titolo sono spesso associati altri. Un “rabbit hole” di qualche articolo di blog è un conto, puoi perderci un po’ di tempo, ma la tana del bianconiglio disseminata di libri è devastante su diversi ordini di grandezza.
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Quant’è il danno? Questa è la situazione ora:
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Da questi numeri, mancano ancora: una cinquantina di libri che sicuramente mi verranno in mente anche leggendo appunto le liste di preferiti di diverse persone, “pubbliche” o meno. E non includo nella lista i manuali tecnici e tutto quello che è strettamente legato a lavoro ed interessi pratici.
Va be’, ma alla fine non è una lista impossibile: con una media di un libro ogni 5 giorni, entro la fine del 2030 dovrei riuscire a terminarli? Ovviamente no: un po’ per l’effetto a grappolo scritto prima, un po’ perché sicuramente mi verranno in mente altri interessi da approfondire, un po’ perché c’è questo prevedibile effetto che Massimo Troisi riassume brillantemente:
Il concetto viene poi ripreso anche da Claudio Bisio, nel suo libro “Il talento degli scomparsi”, quando un amico del protagonista si dichiara contento della morte di uno dei suoi autori preferiti: potrà così finalmente riuscire a recuperare tutte le sue opere, ora che il prolifico scrittore ha finalmente smesso di scrivere.
Un po’ come trovarsi a pescare da un pozzo artesiano che non si svuota mai o, se preferite, è come il vino versato di continuo nel proprio calice ogni volta che si beve, da parte di solerti camerieri che non vogliono vedervi col calice vuoto. In un caso, si tratta di acqua, nell’altra di un liquido tossico accettato socialmente e che può essere ben tollerato solo con moderazione, con ormai noti effetti a breve e a lungo termine. E i libri possono esse fero o esse piuma, possono essere acqua o alcool, nel dubbio meglio non abbondare (a differenza di quanto suggerito da un trailer di Maccio Capatonda).
Non solo libri
Fossero solo quei poco più di 300 libri da “recuperare”, non sarebbe un gran problema di per sè, ma chi ha letto il mio resoconto mensile di cosa consumo ha visto che in mezzo c’è di tutto, anche film, serie, corsi, musica e così via. In questo momento, realizzo di avere “salvati” tra i preferiti e nelle varie liste “da vedere dopo”, qualcosa come:
- oltre 200 corsi a livello universitario e professionale;
- oltre 1.200 video su piattaforme di video on demand (come Youtube, per capirci);
- decine di film e qualche serie;
- altro. E ancora altro. E altro ancora.
Come posso definirmi intenzionale se tra i corsi da seguire ho di tutto, tra cui un “Dog Emotion and Cognition”, 22 ore di lezioni erogate dalla Duke University. Un corso che sarebbe utile ad un veterinario, ad un dog sitter, ad uno studioso di animali, a un allevatore/istruttore/proprietario di cani. Io un cane non ce l’ho e non prevedo di prenderne. L’ultimo corso che ho seguito era il terzo ed ultimo della specializzazione “Psychology of Anxiety, Mood, Substance Use, and Addictive Behaviors Specialization” dell’American Psychological Association. No, non sono uno psicologo, nè lavoro con persone affette da questi disturbi (o almeno non che io sappia, ma nel caso non rientrerebbe tra le mie mansioni occuparmi di loro da questo punto di vista). Tra le centinaia di corsi che ho completato (e no, non è un’esagerazione), c’è davvero di tutto, da quelli ad alto livello a quelli tecnici avanzati iper-specifici come uno sull’utilizzo di un particolare linguaggio informatico statistico applicato alle immagini da risonanza magnetica sulla struttura del cervello. E ovviamente inutile specificare che non lavoro neppure come neuroscienziato o come medico specializzato nel settore. E, sempre a causa del modus operandi descritto prima, spesso non mi fermo al materiale fornito dal corso, ma vado a spulciarmi i relativi paper di ricerca ed eventuali siti specialistici che trattano l’argomento. Fin qui, uno potrebbe chiedersi “e che problema c’è?” e, chi non mi conosce, potrebbe pensare sia un flex per dire “ah belli, voi non leggete un libro da dopo la scuola/università, guardate invece quanto so’ acculturato, zi’, ‘na cifra, spacco di brutto con la mia conoscenza, bro!”. Invece la situazione non è una di quelle tipiche di falsa modestia in cui uno si lamenta del difetto di essere troppo produttivo e troppo buono, qui si tratta invece di affrontare alcuni demoni, come il medico e terapeuta (ACT) Russ Harris consiglia di affrontare, nel suo “The happiness trap”. Se nel titolo accennavo ad un possibile “disturbo”, evidentemente c’è un motivo.
Disfunzionalità
Sto forse scappando da qualcosa? Cercando rifugio e riempiendo qualche senso di vuoto? Penso che, arrivato ad un certo punto della mia vita, se non ho accumulato abbastanza massa informativa potrei implodere?
Vero che è bello conoscere per il solo gusto di capire e sapere, ma si può essere davvero sicuri, in termini assoluti, che un certo tipo di contenuto sia meglio di un altro? Che un documentario sia oggettivamente più valido di un cinepanettone, che un trattato filosofico sia meglio di un libro di barzellette, che una raccolta di opere di Bach (non Richard lo scrittore, ma il musicista – e J.S., da non confondere con il Sebastian Bach degli Skid Row) sia meglio di una collezione di lamenti neomelodici su base trap o di rumore bianco (questo sì decisamente meglio di trap e neomelodici). Sperando di non far rivoltare la buon’anima di Neil Postman, potremmo generalmente dire che un programma di divulgazione scientifica è forse migliore di una puntata di un reality show (come esternò in maniera perentoria Alessandro Cecchi Paone tanti anni fa, prima di arrendersi diversi anni dopo e partecipare lui stesso a quella porcheria, mentre uno dei partecipanti di quella roba è poi comparso qualche anno fa come portavoce del presidente del consiglio dei ministri). C’è però anche un discorso quantitativo da fare.
Il consumo “binge” (dato che ne ho ristudiato gli effetti di recente), l’abbuffata in brevi periodi di tempo (ancora peggio quando protratto poi nel lungo periodo) è davvero auspicabile? Senza prendere respiro, senza far decantare un libro o un corso appena aperto prima di buttarlo giù di colpo, a volte senza gustarlo adeguatamente e soprattutto senza far sedimentare la conoscenza appresa.
Molti associano ad una persona colta l’immagine del genio e del pensatore che passano interi pomeriggi tra polverosi tomi, ma è davvero “invidiabile”? Potrei immaginare un’eventuale learn/life balance: adattando un proverbio inglese reso celebre dal film horror The Shining: “Tutto studio e niente vita rendono Jack un ragazzo noioso”. Il buon Mr. RIP ha di recente commentato un video in cui si parlava di svuotare la lista di cose che abbiamo – tra l’altro, per esperienza personale pluriennale in questo senso, ho notato che poi scopriamo che alcuni video nelle nostre playlist son stati rimossi, alcuni post o interi blog cancellati, navighiamo in un mare di link rot, o molto più semplicemente: alcune tematiche o alcuni fatti non sono più attuali o probabilmente non siamo più interessati, per diversi motivi, tra cui anche avere diverse priorità, diversi interessi. Si tratta spesso di decidere, nel senso etimologico del termine: di tagliare via quello che, per considerazioni di costo/efficacia e costo/opportunità, ha una priorità decisamente più bassa rispetto ad altro che ci dispiacerebbe molto di più non aver approfondito, prima della fine della nostra limitata e breve esistenza (tempus fugit; ars longa, vita brevis).
In molti disturbi e problemi, i manuali diagnostici in ambito di salute mentale parlano di interferenze nella normale vita di un individuo che in maniera sana vorrebbe/”dovrebbe” svolgere diverse attività – nei casi più gravi, impattano anche sulla vita lavorativa e sociale, in maniera drammatica. Anche il consumo compulsivo di videogiochi e serie televisive può produrre situazioni spiacevoli; certamente non al livello dell’utilizzo improprio di Fentanyl, ma gli effetti ci sono.
Nel caso di “information overload”, non solo si tende a diventare praticamente degli hikikomori, rintanati come topi di biblioteca a passare da un argomento ad un altro saltando da un link/dettaglio alla relativa risorsa da approfondire, come gli antichi deipnosofisti (o come in ArziGoogle, per citare Lillo e Greg), ma ho sperimentato proprio anche del malessere psicofisico: nel vedere/ascoltare a velocità accelerata, soprattutto se ci sono informazioni “dense” di cui produrre appunti, si può avvertire l’effetto del sovraccarico sottoforma di mal di testa e stanchezza, oltre a tutti gli effetti derivanti dallo stare troppo tempo seduti, davanti ad uno schermo o a libri, per quanta ergonomia si possa ricercare. Nei casi più gravi, si arriva – proprio come per le altre dipendenze – a trascurare persino bisogni fisiologici come nutrirsi, idratarsi e riposare. E non si parla del periodo di esami in cui stai facendo del disperato cramming prima della prova da sostenere a breve, si parla proprio di studio libero per diletto, senza alcuna data fissa di termine di nulla! Il consumo compulsivo di materiale consuma a sua volta chi ne fruisce. Razionalmente, è facile dire “stacca questo, continui domani”, ma se si potesse risolvere tutto con un “OK, adesso basta (cibo, alcool, scrolling, ecc…)”.
Esattamente come per le dipendenze, spesso è molto difficile smettere, come è molto difficile spiegare questa situazione a molte persone: uno non è che semplicemente si alza la mattina e dice “ora mi metto a leggere un po’ qualcosa”, c’è proprio un ardente desiderio di saperne di più, è qualcosa che ti consuma, perché altrimenti passi il tempo combattuto tra il continuare a chiederti come funziona qualcosa e l’ansia di vedere passare il tempo, avvicinarsi la prevista data di morte (almeno secondo le tavole attuarali) senza aver saputo un dettaglio che per alcuni è totalmente trascurabile, ma per altri diventa una questione importante. Semplicemente, per alcuni non è una scelta, non si riesce facilmente a restare ignoranti. A volte mi chiedo come faccia la maggior parte delle persone a vivere tranquillamente senza porsi neppure una domanda non dico su fenomeni di sistemi complessi, ma su quello che fanno e vedono tutti i giorni, ma probabilmente vivono meglio. Ignorance is bliss. Il problema è che, come ricorda una recente chiacchierata di Mr. RIP con Enkk al minuto 50.07, una volta che inizi a farti domande è difficile tornare indietro. Che poi in realtà i bambini fanno un sacco di domande su tutto, solo che la quasi totalità smette; io, non so se per fortuna o purtroppo, non ho mai smesso – e, come da bambino, non sono soddisfatto fino a quando non arrivo ad un livello di dettaglio per me sufficiente (a volte quel livello coincide con il livello di preparazione di un professore universitario sull’argomento, con tutto quello che comporta in termini di sforzo e tempo). Come insegnano i saggi orientali, dovrei imparare a lasciare andare; accettare che morirò conoscendo solo una insignificante frazione di quello che avrei voluto sapere, devo solo imparare a vivere in pace con questo pensiero.
Esistono forse delle soluzioni
Un rimedio naturale è quello di scrivere: non solo aiuta a rivedere e riorganizzare informazioni (con diversi benefici tra cui contrastare la “curva dell’oblio”, ma anche generare nuovi collegamenti e nuove idee, perché abbiamo intanto appreso dell’altro e siamo anche cambiati noi, per esperienza e per ragionamenti), ma anche perchè scrivere implica automaticamente un rallentamento rispetto alla lettura. Un po’ come avviene nella maggior parte dei casi nella differenza tra download e upload (ovviamente quando asimmetrici, come era ad esempio per chi ricorda l’ADSL o i tempi precedenti), ma anche nelle memorie che son solitamente più veloci da leggere che da scrivere.
Per continuare il paragone: il PC, automaticamente o meno, fa delle pulizie e riordino di dati (come avviene per esempio per SSD e altre memorie, per non ricordare poi la vecchia interfaccia del “defrag” di Windows in cui si vedevano a schermo i blocchi di dati sparsi che venivano consolidati nel disco rigido); possiamo farlo anche noi, ad alto livello (oltre al livello più basso e meno direttamente controllabile, nei vari meccanismi neurologici come il pruning), rivedendo il nostro archivio, il nostro “second brain”.
La soluzione più semplice è comunque quella di non accumulare ciarpame, di smettere di aggiungere titoli su titoli di corsi, libri, film, articoli… di ricordare il vecchio adagio tedesco “Weniger aber besser” (“meno ma meglio”, come ricordano i minimalisti). Leggere e studiare troppo un certo argomento diventa un po’ overkill. Ad un certo punto, occorre rivedere le proprie liste di materiale già appreso e di quello da consumare in futuro per stabilire che ad un certo punto anche basta. Del resto, anche per la legge dei ritorni decrescenti, il ventesimo libro su una certa tematica non ci darà più tutto quel valore aggiunto, probabilmente basterà leggere un paio di articoli specifici e poi chiuderla lì, anche perché il rischio di grande sovrapposizione con quanto si è letto/studiato prima è altissimo.
Torno a svuotare con calma le mie liste, ma cercando di tenere a mente che ogni contenuto consumato comporta tempo sottratto ad altri. E soprattutto, una volta terminato il libro/corso/film, resistere all’urgenza di approfondire ancora e ancora. Devo risalire dalla tana del bianconiglio, non continuare a sprofondare. Posso farcela, con intenzionalità.